Cultura
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Sui vetrini di Aldo Gerbino la sintesi di un’immagine focale della vita nel bene, nel male e nella bellezza

 

Se la Poesia può decodificare la realtà del mondo; se il poeta può inventarne il linguaggio e gli umori attraverso lacerti di realtà costruiti su una parola prolifica di immagini, che hanno la loro radice profonda in una cultura raffinata ed esigente che nasce dalla malia dell'Arte (la pittura, la scultura, la letteratura) e dalla Scienza, soprattutto medica.

La risposta possibile potremmo ritrovarla nei versi di Aldo Gerbino (per un discorso approfondito rimando al mio saggio sulla sua poesia in Le confuse utopie – Salvatore Sciascia Editore 2003, pp. 173-179), che precedono i recenti versi del suo "taccuino" poetico che si sviluppa lungo un arco di otto anni, dal 2007 al 2015.

Da morfologo, egli sa bene come collocare, scegliere e collegare le forme espressive e poetiche per un'immagine generatrice di realtà del pensiero, nel quale si possono ritrovare le "forme" del mondo da cui a sua volta si genera la "forma" dell'esistenza: il linguaggio della vita nei suoi aspetti contraddittorî e perciò rivelatori di una verità esistenziale che ne è la misura e in certo senso l'espressione. Un percorso sofisticato della poesia che connota la vita e le sue macchie e la sua redenzione.

La scienza medica e il microscopio elettronico aprono, agli occhi del poeta e attraverso gli spiragli della Scienza, realtà e modi e forme per "raccontare" l'avventura umana con parole che sanno ricercare, a loro volta la Parola della Poesia nella quale si sublima l'immagine dell'essere dell'uomo e certamente la sua pena, il malessere, sia pure nello sfavillio o nel fulgore della pienezza misteriosa e incantatrice dell'arte, che inventa per contraddirsi e per affermare, anche nella negazione, gli aspetti dolenti o solenni o misteriosi o rivelatori della vita dell'uomo e delle sue illusioni, delle sue sirene e delle sue "piume" – metafora, come in "Natura morta con la penna": “Essa, la piuma, si depone sul nero carnoso /dell'ombra; scoria epidermica che soffre/per mancanza di cielo, per il turbine spento/del volo [...]”.

Ecco, è così che mi appare il misterioso "labirinto" di Comete mercuriali, piume, che è, sì, un Taccuino poetico costruito sulle grandi voci della poesia mondiale e dell'arte figurativa con la pazienza e la veggenza del letterato, del ricercatore e dello studioso, ma soprattutto dell'esteta; ma è altresì un "Taccuino esistenziale", nel quale il poeta e l'uomo di scienza riunisce e racchiude le forme della vita che generano la tensione e il pensiero alto della Poesia che trascorre sull'uomo e sul "mondo offeso", tracciandone i segni della finitezza, l'illusoria grandezza dei suoi limiti che conoscono l'affanno di una ricerca multiforme dell'essere e del consistere.

Sorvolo su Aldo, che sento fratello caro e perché le mie parole non ne darebbero mai la vera dimensione, come in Ancora suoni – Battiti: "Ecco i suoni di creature prime/e noi creditori dei tagli d'una stoffa/universale: ora tessuto ora pensiero, /ora singhiozzo di frangibili/sospiri, infine battito roccioso".

Sembra di trovarsi davanti a una tela di allegorie forti della vita o di essersi abbandonati ad un gioco a nascondino, cangiante e multiforme, con l'Uomo che sfida la conoscenza nella solitudine in un museo dell'esistenza, dove tutto ciò che appare è e non è, perché possa restare la spinta alla conoscenza della strada dell'essere, nella quale si celebra, anche con le lacrime, la nostra cieca viandanza solitaria verso una dimensione agostiniana del Tempo che ci fagocita, sia pure nell'abbaglio di una luce del mistero, contraddittorio e pietoso, come ne Le mani di Agenore Fabbri: "[...]/E ciò che traspare, ciò che riluce è il segno d'una casa/d'una eternità effimera e costante, di un cilicio/rivolto all'uomo, al suo senso di grazia infinita,/di strenua crudeltà".

Una poesia, questa di Aldo Gerbino, "ragionata" e razionale, lavorata a freddo, laddove si spinge a lambire la prosa aforistica per una definizione, dolente e pensosa, della sorte di essere uomini. 

Giovanni Occhipinti

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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