Cultura
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Dopo quanto ha scritto Francesco De Nicola nell'introduzione a Metà di niente (puntoacapo, 2014) di Mauro Macario, non mi sembra ci sia molto da dire. 

De Nicola appartiene alla categoria dei maestri della critica, che non si arrestano, non concludono se prima non hanno anatomizzato una pagina, un libro;  se non ne hanno, insomma, esplorato con l'occhio della perizia la profondità e la forza. E in questo caso, la forza poetica e la novità rappresentate dall'originalità di testi che non potevano non appartenere alla estravaganza creativa, dunque non comune, di un artista molto versatile, che vive, però,  la pena della sua stessa grandezza: già cosa leggibilissima, del resto, tra le righe del discorso di De Nicola, il quale tutto scandaglia sino a toccare il midollo delle cose, così da restituire al lettore la "verità" di una poetica, che è poi quella che distingue il poeta autentico, o particolarmente dotato, dal versificatore di turno. Puntare alla "verità" di un libro di versi, è dunque lo scopo e la misura giusta della metodica "diagnostica" di questo grande critico. E certamente, grande, trovo anche l'autore di Metà di niente, il quale ha ottenuto il "tutto" da un "nulla dimezzato": una vera e propria "creazione" di microcosmi esistenziali dove la parola poetica è intenta a costruire dimensioni umane, togliendo o aggiungendo alla tradizione poetica, oggi avviata a un destino di asfissia, e dunque bisognosa di nuovi registri espressivi, sia pure costruiti sul divertissement della battuta fulminante, ma sconsolata: la sola che sappia scendere in profondità o salire in alto e distinguersi dalla monotonia del già detto.

Metà di niente ha il taglio netto e la sapienzialità dell'aforisma, che però non escludono la civiltà dell'indignazione. Certo, si sta dicendo che Mauro è un originalissimo poeta civile che combatte con la parola - la sua! - tanta corrente inciviltà, avvilente, nei confronti della polis e, perciò, per tutto quanto riguardi la vita politica della Nazione; e non solo: dell'uomo e della sua mondità, a cui anche, per ciò che concerne la parte autobiografica, appartiene l'autore, calato nei meandri della sua psiche, come constatiamo già a partire dal testo Brevetto fuori commercio e passando per la  Lampada di Aladino, vera e propria dichiarazione di poetica, dove Mauro Macario chiede pietà "per questo degrado irreversibile /che umilia la mia matrice rinascimentale/forze oscure praticano l'eutanasia del passato/come dominio in franchising e ne ottengono il suffragio/ostaggio sensibile di coloro che ci sprofondano/in un'amnesia collettiva".

Ci sarebbe molto da dire su questo notevole libro di versi: per esempio, la cadenza elegiaca quasi agostinianamente contrita, così come agostinianamente incalzante è il "discorrere" del verso. Come a voler trasmettere la propria crisi al lettore e, insieme, la ricchezza della propria interiorità ferita dalla vita.

E l'ironia! L'ironia e l'allusione che esprimono nella parodia un risentimento civile o, meglio, socio-storico, sino allo scetticismo pessimistico che si ribella alla condizione dell'uomo che non trova certezze ma le nebbie del dubbio e dello scoramento che alimentano di sé l'indecifrabile scopo dell'esistenza (Vangelo apocrifo, Randagismo, Visite guidate). E qui, parole che si rincorrono, che non conoscono tregua; immagini che si incalzano si sovrappongono; inquiete e ribelli fuggono dalla solitudine verso la so-li-tu-di-ne!

Giovanni Occhipinti

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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