Cultura
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Un percorso articolato in quaranta opere di grandi dimensioni che rappresentano la grazia e l'armonia dei "Tuffatori", indagano la magia nascosta nei "Volti" e mostrano l'unicità enigmatica dei "Gemelli". A Noto con "Dasein", termine preso in prestito dalla filosofia tedesca (Heidegger), Sergio Fiorentino racconta il suo "esserci" nel senso spaziale e temporale, il suo tentativo in divenire di analizzare il presente

 

Noto (Siracusa), 18 luglio 2015 - Sono i vari percorsi che si intrecciano nell'esistenza, la materia con cui sono fatti i sogni, i riferimenti del percorso artistico ed estetico di Sergio Fiorentino (Catania, 1973). Dopo la formazione accademica intreccia le più interessanti ricerche del design e della decorazione del XX secolo, per approdare ad un nuovo itinerario espressivo che lo porta nuovamente a dipingere e scolpire dal 2011 e ad esporre in varie mostre personali e collettive in sedi pubbliche e private. Per il progetto espositivo di "Dasein", a cura di Alberto Mattia Martini, la scelta è caduta su quaranta dipinti di grande formato dei tre cicli di "Tuffatori", "Volti" e "Gemelli", partendo dalle suggestioni della filosofia tedesca che molto ha dibattuto sul significato stesso di "Dasein". Ma, lontano da inutili sofismi, quella di Fiorentino è una scelta pienamente estetica, fatta di pura bellezza, di una bellezza del nostro tempo e fuori da esso. 

«Un realismo il suo, anzi un iperrealismo – ha scritto Anna Maria Ruta – che si applica soprattutto ai volti, in cui Sergio rivela la conoscenza e l’approfondimento di certa iper-ritrattistica contemporanea, che spazia su varie direzioni figurative e che attrae soprattutto molta giovane pittura di oggi. Il volto dettagliatamente zoomato  diventa sua icona privilegiata: una sequenza di volti si squaderna nelle sue tele con un segno moderno, che evoca tuttavia stilemi classici per una predilezione plastica, per una volumetria carnosa, che echeggia la forma essenziale della scultura antica. I suoi volti sembrano manipolati dalla mano anziché dal pennello, come fossero di terracotta, di marmo, vere sculture dipinte. E non sono volti disumanizzati: sia che siano alla lontana espressionisti sia che siano più realistici appaiono subito emblema di una riconquista dell’uomo, di sé. Hanno quasi tutti gli occhi chiusi questi personaggi, occhi chiusi alla realtà degenerata, che si rifiutano di vedere, a cui hanno voltato le spalle, ma non definitivamente, perché vogliono mutarla questa realtà, non ignorarla o azzerarla: una denuncia silente e carica di attesa».

La mostra è organizzata dalla Galleria "Arionte Arte Contemporana" di Catania che da anni promuove l'attività di Fiorentino, mentre "Dietro Le Quinte Arte" pubblicherà il catalogo dell'esposizione che si completa con una serie di dipinti disponibili

presso "Studio Barnum contemporary" in via Silvio Spaventa, 4, Noto.

 

Mostra: DASEIN - essere nel tempo

Artista: Sergio Fiorentino

Curatore: Alberto Mattia Martini

Catalogo: Arionte Arte Contemporanea

Date evento: dal 18 luglio 2015 al 15 settembre 2015

Inaugurazione: Sabato 18 luglio 2015, ore 21.00

Sede:  Convitto Ragusa, Via Vittorio Emanuele, 91 - Piano I, - Noto (SR)

Orari: tutti i giorni dalle 19.00 alle 24.00

Biglietto: ingresso libero

Sponsors: Barone Sergio, Monzù

 

Informazioni per il pubblico

Galleria Arionte Arte Contemporanea 

Dir. Daniela Arionte

(t) + 39 3463851506

(t) + 39 0952180080

(e) Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

 

Informazioni sull’artista

(w) www.sergiofiorentino.com

 

 

Il testo critico di Alberto Mattia Martini 

In questo periodo la Grecia è volente o nolente al centro di alcune delle nostre conversazioni e delle nostre considerazioni; anche chi non si interessa di politica estera, guardando un qualsiasi Tg o leggendo un qualsivoglia giornale, inevitabilmente si sarà imbattuto nella così detta "questione greca", relativa alla crisi economica che la sta "trafiggendo" e che fatalmente sta interessando tutti i Paesi dell'Unione Europea.

Non mi sembra questo il contesto per addentrami in questioni puramente politiche, ma ritengo un dovere morale, etico ed intellettuale, qualora ve ne fosse bisogno, sottolineare il ruolo che la Grecia ha avuto per quello che noi siamo oggi, per il nostro pensiero, per gli aspetti positivi della nostra società, per la parte pulita della nostra politica, per la democrazia, per l'arte, la cultura e la bellezza. Per una volta dovrebbe a mio avviso prevalere sull'economia, sul denaro, sugli interessi, sulla materialità, sull'egoismo di pochi, il pensiero, gli ideali e quindi l'interesse di molti. Il mito greco conduce da sempre l'uomo in un viaggio assoluto, un racconto infinito, che con la filosofia è divenuto ricerca ed analisi della verità, del mistero della vita, dell'universo e quindi dell'origine di tutte le cose e quindi dell'uomo.

Chi certamente concentra le proprie attenzioni e il proprio pensiero "all'umano" è Sergio Fiorentino, la cui ricerca artistica è orientata ad osservare, raccontare, ragionare, dialogare con il genere umano, ma egli ha principalmente il merito, la pazienza e la sensibilità di sapere ascoltare l'umanità.

Il filosofo Martin Heidegger ci coinvolge sul concetto di essere e quindi di umanità; l'uomo, come risulta in modo netto anche dalle opere di Fiorentino, non può apparire come semplice presenza, ma essere nel mondo, quella che il filosofo tedesco denomina trascendenza. L'umanità, la fisicità, gli inevitabili pensieri, riflessioni ed idee, i volti "trasognanti" di Sergio Fiorentino confluiscono perfettamente nel concetto Heideggeriano di Dasein e cioè di esistenza, intesa come esserci, come l'Essere, presenza che si esplica nell'uomo, nella sua vita, nell'essere nel mondo e nel tempo.

Un essere nel tempo, che è unione di trascendenza ed immanenza, è il sapere unire la trascendenza spirituale all'immanenza reale. Ricorrendo ancora a Heidegger, constatiamo che tale atto è possibile solo con il logos, ossia recuperando il valore dell'ascolto, che troppo spesso viene prevaricato dal dire.

Il volto come anima del mondo, questa è la scelta che Sergio Fiorentino ha l'urgenza ed il coraggio di scegliere e di circoscrivere come alfabeto comunicativo del suo pensiero.

Partendo dal concetto che la realtà che ci circonda è a volte complessa, sfuggente e non è munita di uni direzionalità di pensiero o di valore, l'artista sceglie il volto, il ritratto e a volte l'uomo nella sua totalità corporea, non come mero senso del reale, ma per ricordarci che noi siamo nel mondo grazie al mondo stesso e che esso non è qui per noi, ma il contrario. Apparentemente svuotati, privati di emozioni, i ritratti di Sergio Fiorentino osservano il circostante, con occhi fissi orientati dritti e tesi al proprio interlocutore visivo. Quello di un presumibile aspetto imperturbabile, ci esplica invece un rilevante senso comunicativo, che vuole andare oltre la "semplice" parola, finalizzata troppo spesso purtroppo all'inconsistenza e/o allo schiamazzo, introducendoci ed iniziandoci viceversa al sentimento, alle emozioni e ad una tipologia di dialogo maggiormente direzionato ad una sorta di telepatia intellettiva.

Una fissità apparentemente asettica, che invece racconta l'intimità del personaggio ritratto, andandone a esplorare ed indagare, la loro fragile umanità, ma al contempo anche la loro determinazione ad "esserci nel mondo", ad uscire dalla logica della forza, della ragione imposta con la prevaricazione, rinunciando alla pretesa di essere i detentori della verità assoluta. I personaggi raccontati da Fiorentino invece rischiano, potremmo dire "ci mettono la faccia", avendo bene presente che non esiste un'unica realtà oggettiva, ma come asserisce Protagora: "l'uomo è a misura di tutte le cose", che non significa, come spesso è stato interpretato, che l'uomo è al centro dell'universo, ma che esistono più punti di vista, più ragioni e idee da proporre ed è solo con l'accordo che tali idee, da teoria possono tramutarsi in pratica.

Il sogno quindi si può convertire in realtà o rimane per sempre una dolce utopia.

Un tempo gli occhi dei soggetti delle tele di Fiorentino, sognavano, immaginavano, preferivano il buio della notte, l'oscurità, lasciando le palpebre socchiudersi in un una sconfinata visone onirica. Oggi gli occhi si sono aperti, hanno scelto la vita, l'essere non introiettati: hanno il coraggio di osservare, ha prevalso la ragione del reale, pur non rinnegando l'avventura metafisica.

I soggetti non hanno paura di correre il rischio della sofferenza, desiderano non rimane incatenati alle proprie chimere.

Volti conosciuti, reali incontrati e poi mutati oppure persone immaginate e vagheggiate, questo poco importa, ciò che conta è la loro presenza, scavare nella psicologia dei personaggi, sondare i torbidi abissi: dalla fragilità, ai valori morali, alla bellezza che si fa originalità, cercando di comprendere e realizzare la pienezza dell'uomo, non limitandosi alla sua struttura fisica.

Scientificamente ognuno di noi può immaginare qualche cosa solo sulla base dei propri ricordi e di ciò che avverte e percepisce; una sorta di incontro tra geni, configurazioni neurali ed esperienze individuali. Se la scienza afferma che non possiamo uscire da noi stessi, Sergio Fiorentino con i suoi Gemelli, non ambisce a sovvertire tali leggi, ma partendo dal ritratto di una persona da lui caratterizzata, ne raddoppia l'immagine, forse modificandone impercettibilmente l'espressione, come se avvenisse uno sdoppiamento della personalità. La sensibilità dell'artista, giunge in questa serie ad emanare addirittura una sorta di empatia cognitiva con il soggetto ritratto, andandone a spiegare ed interpretarne le emozioni.

Il blu, domina e si diffonde nelle opere di Fiorentino, un blu oltremare che immediatamente dipinge le nostre menti e i nostri ricordi con il mare della Sicilia e dell'indaco del cielo di Noto, della luce che abbaglia gli occhi, a tal punto da doverli socchiudere, ma non chiuderli, per non privarsi un solo attimo dell'infinito. Il colore blu acrilico diviene la base dalla quale partire per poi successivamente intervenire con i colori ad olio e quindi dare vita e struttura ai soggetti ritratti. Il blu tuttavia non scompare, non muore ma riemerge, potremmo dire risorge improvvisamente, quando l'artista interviene infierendo ed infliggendo numerosi graffi alla persona ritratta. Un gesto apparentemente violento, distruttivo, che lascerebbe pensare ad un impeto irrefrenabile; a mio avviso invece questi segni sono un atto d'amore per il genere umano, sono un invito a riflettere su come la struttura fisica, la bellezza per poter delineare e realizzare la pienezza dell'uomo, debba convogliare con l'etica, con contenuti morali e principi coraggiosi. Le abrasioni sono anche monito, un "grido graffiante" di allarme sulla sempre più evidente vulnerabilità dell'uomo, sempre meno identitario e sempre più massa, spesso in balia di una società che ne annulla l'identità, ne violenta le peculiarità, promettendo apparente benessere ed "iniettando" costantemente artificiali necessità, andando così a sfigurarne sia la bellezza estetica, che dell'animo umano.

Un blu che non è solo base costitutiva, esso entra anche nella configurazione strutturale andando ad impossessarsi del capo dei soggetti, assumendo la conformazione di cuffia, che tuttavia non rimane fittizia, ma si coesa alla testa andando a creare un tutt'uno con la struttura corporea. Figure antropiche, che originano dal nostro pianeta o esseri sovrumani, provenienti da mondi lontani, alieni che non si conformano alle leggi del tempo? Forse entità ancora non germinate, in alcuni casi ancora privi di tutti gli organi di senso, immerse in un profondo e sconfinato liquido blu, nella profondità di un oceano, da dove rimangono in attesa che giunga il loro tempo, l'istante per poter emergere dal liquido amniotico, abbandonare il siero protettivo e finalmente immergersi nella vita.

Un tuffo nel mondo, come avviene nella serie dei Tuffatori, sprofondando nel blu dell'oscurità, non della fine ma di un nuovo inizio. Sovviene alla mente quella stupenda opera che è La tomba del tuffatore, rarissimo esempio di pittura di età greca della Magna Grecia datata tra il 480 e il 470 a. C., rinvenuto nell'area di Paestum. I Tuffatori di Sergio Fiorentino, come l'opera ellenica, raccontano una vivacità e una determinazione espressiva e narrativa, giocando tra il realismo figurativo e l'immaginifico indefinito. Un viaggio nell'aldilà o tuffo verso il mare della vera conoscenza, contrapposta a quella "sensibile"? Probabilmente entrambe le cose, l'anima si purifica post mortem, per poi tornare a vivere in un processo di reincarnazione. La qualità pittorica, non solo di questa serie ma di tutte le opere di Fiorentino, sintetizza una notevole composizione formale, pregna di umanità, pathos ed eros, riuscendo a bloccare per sempre l'attimo che fugge. Un carpe diem di oraziana memoria, che convoglia queste opere pittoriche in direzione di un concetto artistico di espressione fotografica, trovando sintonia per esempio con il noto scatto Il tuffatore del 1951, realizzato da Nino Migliori sul molo di Rimini. Mutano i secoli e la posizione del tuffatore non è più orizzontale bensì verticale e cambia anche la tecnica, ma come per le opere di Fiorentino, il racconto è un tuffo di libertà, la volontà di fare esperienze, di rischiare, affogando le nostre paure e provando a fare combaciare il ritmo della propria vita con il ritmo del mondo, quell'agognato e tanto fantasticato equilibrio perfetto tra uomo ed universo.

 

Alberto Mattia Martini

Milano, 20 luglio 2015

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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