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  • Autore: Franco Cardini, Carlo Ruta, Pino Blasone
  • Editore: Edizioni di Storia e Studi sociali

Francesco d’Assisi, al-Malik al-Kāmil, Federico II di Svevia – Eredità e dialoghi del XIII secolo. La prima presentazione a Modica, Chiostro di Santa Maria del Gesù, 11 luglio 2019 (ore 18:30)

 

Ragusa, 13 luglio 2019 – Nel magnifico spazio culturale della chiesa e chiostro di Santa Maria del Gesù, a Modica Alta, uno dei pochi complessi monumentali sopravvissuti al tremendo terremoto del 1693 nel Sudest, è stato presentato un libro che porta un titolo assai interessante: Francesco d’Assisi, al-Malik al-Kāmil, Federico II di Svevia – Eredità e dialoghi del XIII secolo (Edizioni di Storia e Studi sociali di Giovanna Corradini). È stato scritto da Pino Blasone, Franco Cardini e Carlo Ruta per Edizioni di storia e studi sociali.

I relatori erano Francesco Lucifora (direttore artistico di Modica Art System), il priore dei Francescani del Cantico di Modica, Fra’ Antonello Abbate, Fra’ Emanuele Cosentini (stesso ordine), il prof. Giovanni Distefano (archeologo, docente all’Università della Calabria e a Roma 2 Tor Vergata), il saggista Salvo Micciché e Carlo Ruta, saggista e storico del mediterraneo, uno degli autori del volume.

Il saggista Carlo Ruta ha scritto il saggio iniziale:Un secolo aperto, tra diversità culturali e confronti politico-religiosi; il medievista Franco Cardini ha proposto Francesco e il sultano. Un incontro di otto secoli orsono, una lezione per il presente; il filosofo e medievista Pino Blasone si è occupato del tema Il sultano al-Malik al-Kāmil, tra San Francesco e Federico II di Svevia. La «storia del monaco».

È significativo già l’incipit del volume: «Nel 1219, circa 800 anni fa, durante l’operazione militare crociata indetta dal papa Onorio III e condotta sul campo da Giovanni di Brienne con la supervisione del legato pontificio Pelagio Galvani, Francesco d’Assisi incontrava il sultano di Egitto e Siria al-Malik al-Kāmil presso Damietta, città portuale situata sul delta del Nilo. I documenti dell’epoca che attestano l’evento sono numerosi; non esistono perciò motivi per dubitare della sua storicità. Tuttavia, particolari leggendari possono averne alterato il ricordo tramandato mentre alcuni dettagli, nonostante la varietà delle fonti, letterarie ed iconografiche, restano in ombra. Insiste perciò la discussione storiografica per cercare di chiarire ciò che realmente accadde».

 

Per comprendere i saggi che compongono il volume è utile tracciare un breve excursus sui protagonisti e l’orizzonte temporale in cui essi hanno operato e parimenti è utile accennare alle fonti, in particolare riguardo all’incontro tra il Santo Francesco e il Sultano ayyubide d’Egitto e Siria.

 

Orizzonte temporale

I protagonisti:

  • Francesco d’Assisi (vero nome Giovanni di Pietro di Berardone) nacque ad Assisi nel 1181 ove morì, gravemente malato, nel 1226.
  • Al-Malik al-Kāmil, nome completo Muhammad ibn Muhammad bin al-ʿĀdil bin Ayyūb, è un sultano ayyubide curdo, nipote di Saladino (il cui nome completo era Ṣalāḥad-Dīn Yūsuf ibn Ayyūb), nato nel 1179 e morto a Damasco nel 1238. «Al-Malik al-Kāmil» in arabo letteralmente significa «il sovrano perfetto».
  • Federico II di Svevia, nome completo Federico Ruggero Costantino di Hohenstaufen, figlio di Enrico VI e Costanza d’Altavilla, nipote di Federico Barbarossa, è nato a Jesi nel 1194 e morto a Fiorentino di Puglia nel 1250. Egli è, com’è noto, tout court lo Stupor Mundi.

Sono dunque tre personaggi di primaria importanza nel panorama storico mondiale, più o meno coetanei, nati nel breve periodo di un quindicennio e morti tutti e tre in uno spazio temporale di soli 25 anni.

 

Ordini mendicanti, una rivoluzione del XIII secolo

Parlando di Francesco d’Assisi non si può non trattare parallelamente la storia degli ordini mendicanti, e ovviamente nel volume lo si fa, confrontando i minori dell’ordine francescano con i predicatori domenicani di Domenico da Guzman, che nacque a Caleruega nel 1170, undici anni prima di Francesco, e morì a Bologna nel 1221, cinque anni prima di San Francesco.

Non si può prescindere – parallelamente e di riflesso – dal citare altri due chierici regolari assai determinanti per le sorti dei rispettivi ordini, che oramai entrambi si erano dati una Regola: il domenicano Tommaso d’Aquino, doctor angelicus, che nacque a Roccasecca nel 1225 – un anno prima della morte di Francesco – e morì nell’abbazia di Fossanova nel 1274 e il francescano Giovanni Duns Scoto, doctor subtilis, nato a Duns nel 1265 e morto a Colonia nel 1308. Due dottori della Chiesa, quindi, che ampliano, indirizzano e cristallizzano l’opera missionaria di Francesco e Domenico, con la Scolastica, la predicazione e l’esempio; essi sono, possiamo dire, co-fondatori e, al pari di Francesco e Domenico, santi protettori di ordini che, tra l’altro, si ponevano un comune obiettivo: quello di evangelizzare e proteggere la Chiesa e la Fede dall’errore: i domenicani più versati a predicare agli eretici, i francescani vocati a predicare agli infedeli, compito in entrambi i casi molto difficile e delicato e a volte osteggiato dalle stesse gerarchie ecclesiastiche, che però presto riconoscono gli ordini, soprattutto quando si danno entrambi una Regola e li incardinano nella grande missione della Chiesa universale.

 

Storia, da Occidente ad Oriente

Sempre parlando di orizzonte temporale, accenniamo qui a pochissime ma importantissime e significative date utili a comprendere la storia generale che fa da contorno alle nostre vicende.

  • Nel 1215 Giovanni Senza Terra promulga la Magna Charta Libertatum.
  • Nel 1227 muore il condottiero mongolo Gengis Khan.
  • Nel 1228-29 Fra’ Tommaso da Celano scrive la Vita prima Sancti Francisci, solo due anni dopo la morte del Santo e nel tempo stesso in cui egli venne beatificato.
  • Nel 1241 Batu Khan (nipote di Gengis Khan) travolge Cracovia e altri centri sud-orientali della Polonia ingenerando paure e apprensioni tra gli occidentali.
  • Nel 1245 il francescano Giovanni da Pian del Carpine viene inviato in missione proprio presso i Mongoli e da questa esperienza successivamente il religioso scriverà una Historia Mongalorum da cui si può leggere una sintesi utilissima agli storiografi, che presenta i Mongoli da un nuovo punto di vista: non esattamente come i crudeli e spaventevoli Unni descritti da Ammiano Marcellino, ma un popolo di guerrieri con i loro usi e costumi, un popolo di persone da comprendere e con cui confrontarsi. Giovanni scrive scrupolosamente da ambasciatore e descrive ogni cosa nei minimi particolari senza fermarsi al mero “terrore” che aveva indotto gli scrittori precedenti ad amplificare descrizioni leggendarie e poco credibili senza peraltro fornire dettagli utili alla comprensione dell’Altro. E l’Altro diviene il tema principale della predicazione: non serve convertire chi già crede, ma chi non crede, chi è “altro da noi”, ma da noi stessi non è poi così diverso.
  • Nel 1258 Viene distrutta Baghdad e sorge l’Ilkhanato di Persia, un khanato del Sud, come dice la parola «il» in lingua mongola. È questa una data importante per capire come i fronti da considerare, dal nostro punto di vista, siano ben tre e non due come superficialmente si potrebbe pensare: il mondo occidentale, bizantino e latino, il variegato mondo islamico e il mondo orientale dei Mongoli con cui gli stessi musulmani dovettero confrontarsi.

Bastano queste date – ma nel libro se ne leggono molte altre e significative – a farci capire in che epoca si svolge la storia di cui trattiamo.

 

Le fonti

Quanto alle fonti, in particolare dell’incontro tra San Francesco e il sultano al-Malik al-Kāmil, nel libro non vengono considerate tanto le abbondanti fonti francescane e francescaniste, come le ottime cronache di Tommaso da Celano o Bonaventura da Bagnoregio, che potrebbero essere anche “interessate”, ma soprattutto si prendono in considerazione cinque fonti non francescane:

  • la prima è la Historia Occidentalis di Giacomo da Vitry, che era vescovo di San Giovanni d’Acri, nella Terra Santa delle Crociate;
  • la seconda è Ernoul, autore che continua la Cronaca di Guglielmo di Tiro;
  • la terza è Bernardo il Tesoriere, che è un epitomatore dello stesso Ernoul;
  • la quarta l’anonima Histoire d’Héraclès empereur et la conquête de la Terre d’outremerche risale al 1229-31, quindi fonte quasi coeva al presunto incontro;
  • la quinta – forse la più importante –: è l’epigrafe funeraria di Fakhr ad-Din Muhammad ibn Ibrahim Fārīsi al cimitero di Qarāfa al Cairo che molto probabilmente alludea Francesco anche se non lo nomina esplicitamente. La riporta Pino Blasone nel suo saggio, che così trascrive il testo (oramai perduto): «la-hu manāqib mashhūra wa qiṣṣatuhu maʿa ‘l-Malik al-Kāmil wa-mā ittafaqa la-hu min ajl al-rāhib mashshūra», ovvero «i meriti di lui [o a lui (ascritti)] sono ben noti, e la storia di lui con al-Malik al-Kāmil e ciò che accadde a lui al riguardo del monaco sono ben noti». Vi si parla quindi di un monaco, in arabo appunto un rāhib molto noto («mashshura»), o più genericamente di una specie di sufi, colui che per i mussulmani letteralmente è un «religioso vestito con saio e cappuccio che parla di pace»: il ritratto perfetto per il Santo Francesco che però porta soprattutto ad analizzare la figura di questo Fakhr al Fārīsi, che come dice l’epiteto arabo è certo un persiano e pone l’interrogativo di chi sia questo «monaco ben famoso» protagonista di fatti che «sono ben noti».

 

Bastano questi cenni ad invitare il lettore a leggere il libro, senza svelare molti altri particolari. Cosa che si preferisce fare in questa sede.

 

Non dilungandoci oltre, quindi, accenniamo solo al fatto che nel volume si citano e commentano anche i noti episodi della predica «agli uccellini e uccellacci»; l’ammansire del lupo che tanto fa discutere, anche alla luce dell’etologia moderna e la storia o leggenda della «dishonesta» tentatrice che l’imperatore avrebbe inviato ad indurre il santo in peccato e che il santo Francesco avrebbe convertito con un ingegnoso colpo teatrale: faceva freddo e c’era il camino accenso, il sant’uomo si spogliò nudo, sparse la brace tutt’attorno, vi si sedette e invitò la donna dicendo «spogliati, vieni in questo letto, al che la donna vedendo che egli non si bruciava né abbronzava, s’impaurì e fuggì spaventata. È interessante leggerlo dalla fonte originaria:

«Era una femmina bellissima del corpo, ma sozza dell’anima, la quale femmina maladetta richiese santo Francesco di peccato. E dicendole santo Francesco: “Io accetto, andiamo a letto”; ed ella lo menava in camera. E disse santo Francesco: “Vieni con meco, io ti menerò a uno letto bellissimo”. E menolla a uno grandissimo fuoco che si facea in quella casa e in fervore di spirito si spoglia ignudo, e gittasi allato a questo fuoco in su lo spazzo affocato e invita costei che ella si spogli e vada a giacersi con lui in quello letto ispiumacciato e bello. E istandosi così santo Francesco per grande ispazio con allegro viso, e non ardendo né punto abbronzando, quella femmina per tale miracolo ispaventata e compunta nel cuor suo, non solamente si pentè del peccato e della mala intenzione, ma eziandio si convertì perfettamente alla fede di Cristo, e diventò di tanta santità, che per lei molte anime si salvarono in quelle contrade».

Angelo Branduardi ha musicato una canzone, con i versi della poetessa sua moglie Luisa Zappa: Il sultano di Babilonia e la prostituta, 2000.  

Si è discusso anche dell’improbabile ordalia che Francesco certo non avrà potuto né pensare né proporre al Sultano, anche considerando – come ricorda Pino Blasone – le due successive redazioni della Regola minoritica, redatte fra 1221 e 1223, secondo cui «il frate minore che vada tra gli infedeli non deve suscitare scandali o querele, dev’essere mite e soggetto a tutti; se poi si sente ispirato da Dio, può predicare Cristo e il Vangelo» e ricordando anche il martirio di alcuni frati che ardirono sfidare un altro Sultano, ad es. a Marrakesh nel 1220 (Berardo, Pietro, Ottone, Adiuto e Accursio). Francesco, ispiratore di questa prudenza, certo non sarebbe così avventato da sfidare la morte senza conversione.

 

Alcune domande fondamentali a cui si è cercato di dare risposta nel volume e durante la conferenza:

  • Si incontrarono davvero – come sembra probabile, dalle fonti – San Francesco e il Sultano?
  • E che cosa si sono realmente detti? Hanno parlato genericamente di pace? Oppure anche di falconeria, passione comune, o di cosa?
  • Poteva il Santo ardire a convertire il Sultano?
  • Si sono mai incontrati il Santo Francesco e l’Imperatore Federico, come vuole certa leggendaria pseudo-storia?
  • Francesco, che in cuor suo era certo contrario ad una crociata cruenta e semmai pensava ad una crociata diplomatica e di predicazione (e conversione), poteva forse opporsi alla volontà del papa Onorio III e del legato Pelagio Galvani di condurre la crociata stessa, anche considerando che l’integrazione dell’ordine minorita nella chiesa non era ancora piena e Francesco non avrebbe messo in dubbio la protezione del papa e di Pelagio, contrastandone i desiderata?
  • Perché Federico II (due volte scomunicato), tra l’altro Re di Gerusalemme per avere sposato Jolanda Isabella II (1212-28), figlia di Giovanni di Brienne, “leader” della quinta Crociata, indugiava e mandò navi in ritardo a sostegno del Papa?

A queste domande hanno cercato di rispondere i relatori.

 

Fra’ Emanuele Cosentini ha tracciato un ritratto del Santo, inquadrandolo nella storia narrata nel volume, in particolare, il famoso episodio dell’incontro con il Sultano al-Kāmil, sottolineando la virtù pacifica e prudente di San Francesco.

Il Priore dei Francescani del Cantico, Fra’ Antonello Abbate, ha continuato parlando del Santo, anche in relazione al Cantico delle Creature.

Giovanni Distefano ha presentato per esteso i saggi, evidenziando spunti di discussione, certezze e dubbi che si evincono da una attenta lettura del testo.

Punti di vista differenti che hanno però dato una interpretazione coesa e coerente che ha consentito a Carlo Ruta di tracciare un profilo dei protagonisti e del tempo, quel XIII secolo la cui eredità, anche attraverso i dialoghi, portavano l’incubazione della modernità in molti aspetti, non ultimi concetti “moderni” come quelli di croce rossa, protezione civile, che pur non chiamandosi con i nostri moderni nomi erano già sperimentate in un Medioevo che usciva dalle incertezze del Tardo antico e dal millenarismo per entrare prepotentemente nella Modernità.

 

Tracciando il percorso storiografico del suo saggio, Carlo Ruta avverte il lettore, da un lato che «nell’Occidente latino l’autorità politica della Chiesa, sostenuta dalle potenti compagini guelfe del continente, si batteva con ogni mezzo per imporre al Sacro romano impero la propria primazia, sancita e ufficializzata nella seconda metà dell’XI secolo dal dictatus papae di Gregorio VII» e dall’altro canto «dal versante dell’Islam, agli inizi del secolo, quando appariva ancora contenibile la minaccia proveniente dall’Asia centrale, insisteva l’epoca d’oro del califfato abbaside, mentre il sultanato ayyubide d’Egitto, forte dell’eredità politica e morale di Saladino, che aveva riconquistato Gerusalemme, si consolidava nel Nord Africa». Ma i giochi non erano fatti e non erano dirimibili solo tra Cristianità e Islam: un terzo soggetto imperversava da Est, quelli che genericamente venivano indicati come Mongoli; i khanati erano un problema politico e militare sia per i cristiani dell’Europa dell’est sia per i musulmani in Siria e in Persia, e con loro bisognava confrontarsi e a volte scontrarsi, a volte alleandosi, altre volte in modi del tutto eterogenei. E in questo confronto-scontro ancora una volta gli ordini mendicanti avevano parte attiva e risolutiva, come ambasciatori di pace e di dialogo. Erano usciti prepotentemente dalla stabilitas locidel monachesimo benedettino e cluniacense per entrare nel Mondo e predicare nel Mondo, e sapevano farlo.

Tra le altre cose, Franco Cardini ricorda come «Francesco aveva già progettato, secondo Tommaso da Celano, di recarsi in Siria “per predicare la penitenza ai saraceni e agli altri infedeli”, ma una tempesta aveva obbligato a interrompere il viaggio la nave sulla quale egli si era imbarcato nel 1212 – l’anno stesso della “crociata dei pueri” – nel porto di Ancona; l’anno successivo, nel 1213, egli aveva cercato, dopo aver visitato il santuario di Compostela, di passare in Maghreb e di testimoniare il Cristo in una “presenza”, a dirla con Dante, ben più “superba” del mite e clemente al-Mālik sultano d’Egitto: quella di al-Nasr, Il califfo almohade già inferocito per la recentissima sconfitta di Las Navas de Tolosa e che i cristiani chiamavano “Miramolino”, bizzarramente adattando al loro eloquio il titolo ufficiale di “comandante dei credenti” (amir al-mu’minin) e che risiedeva nella splendida capitale di Marrakesh». Quel sultano, come si diceva, non riservava ai mendicanti la stessa pietas del sultano curdo d’Egitto, e i tempi non erano facili né maturi per la pacificazione universale. Ancora l’illustre medievista scrive e fa riflettere sul fatto che «il Duecento sia stato il secolo di straordinari indagatori della natura, come Federico II e Ruggero Bacone, rende d’altro canto ineludibile la meditazione sul Povero d’Assisi e sul senso di fratellanza di tutte le cose in Dio che traspare dal Cantico delle creature».

Pino Blasone inizia il suo saggio analizzando l’epigrafe che parla “del Monaco”, partendo da questa considerazione e questi dati storici: «Muḥammad ibn Muḥammad ibn al-Zayyāt è uno scrittore egiziano, che intorno al 1402 redasse una guida in arabo ai luoghi della città del Cairo, santi o venerabili per la religiosità musulmana: Al-kawākib al-sayyāra fī tartīb al-ziyāra..., letteralmente “Stelle-guida nel programma della visita...”, là dove ziyāra è appunto la “visita” delle mete di un pellegrinaggio sia pure minore e accessorio rispetto a quello prescritto in quanto “pilastro” rituale per i devoti alla Mecca», una interessante lettura di uno degli aspetti fondamentali della religiosità medievale, sia cristiana, sia islamica: quella del viaggio, del pellegrinaggio, del pellegrino, viatornel Mondo, costantemente in cammino alla ricerca dei fondamenti della Fede. Tra le altre cose, l’autore cita poi una lettera in latino del 1220 al Papa Onorio III che così inizia: «Magister vero illorum, qui ordinem illum instituit, cum venisset in exercitum nostrum, zelo fidei accensus ad exercitum hostium nostrorum pertransire non timuit et cum aliquot diebus Sarracenis verbum Dei predicasset, modicum profecit», avvertendo che non c’è dubbio: «il “Magister vero illorum, qui ordinem illum instituit” è Francesco, imbarcatosi probabilmente ad Ancona per sbarcare ad Acri e poi recarsi a Damietta». Quanto allo Stupor Mundi e al suo presunto incontro con il Santo Francesco l’autore mette in guardia il lettore: «non risulta che egli [Federico II] si sia mai incontrato con Francesco, se non in un caso leggendario». Essi potrebbero, però averlo fatto «in maniera riservata, a insaputa di molti contemporanei. Ciò sarebbe potuto accadere a Bari, quando entrambi vi erano presenti nel 1221 stando ai Regesta, cronache papali e imperiali».

 

Non si possono certo applicare all’analisi storiografica categorie anacronistiche e “politiche” moderne, ad es. quelle di “pacifismo” ed “ecologismo”, e dall’interessante dibattito a più voci – e da diversi punti di vista (cattolico, laico, socialista e liberale) – l’analisi rigorosamente aderente a temi e categorie medievali ha presentato agli attenti lettori un Francesco paladino della pace ma da non definire “pacifista” e un innamorato della Natura non “ecologista” ma pur sempre conscio e convinto assertore del privilegio degli esseri umani (che neppure agli Angeli è concesso), ovvero di essere latori della Rivelazione del mistero divino. Il Cantico, come il Genesi, elenca prima i due luminari, il Sole e la Luna, poi gli animali; «vengono citati – scrive Franco Cardini – i due luminaria, i corpi celesti, i quattro elementi. Gli animali, che non rientrano esplicitamente nella sequenza citata nel Cantico, hanno d’altronde un ruolo molto importante nelle fonti relative a Francesco» ma San Francesco non è una specie di Orfeo cristiano, egli è appunto un credente, fervente cristiano e cattolico, che intende applicare alla lettera la Bibbia e il Vangelo e vuole altresì portare la Buona Novella agli infedeli, affinché la possano conoscere, apprezzare, amare. E per farlo Francesco non ha bisogno di essere, come diremmo oggi, “pacifista” ed “ecologista”: gli basta credere, amare la pace e le creature di Dio, senza gli infingimenti di noi moderni.

 

Salvo Micciché

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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