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Giovanna Vindigni è riuscita a stuzzicare la mia curiosità, con la sua silloge in vernacolo ragusano "Ru macci 'i carrùa" (Centro Studi "F. Rossitto", 2014)

Ho sempre sostenuto che la mia indifferenza all'espressione dialettale trovasse giustificazione nel fatto di non essere un dialettologo; insomma, al dialetto siciliano avrei voluto accostarmi da specialista e non da orecchiante.

Ma ritorniamo alla curiosità e dunque all'interesse che mi hanno suscitato i versi di Giovanna Vindigni. Innanzitutto, c'è da dire che la chiave per entrare nella sua poetica è la sua stessa nota in postfazione, puntuale e mirata, ma soprattutto scevra da peregrini virtuosismi lessicali o da preliminari inutili che, ancorché chiarire, spesso fuorviano il lettore.

 

Estroversa e versatile, esteta con un orecchio alla musica e l'altro all'arte musicale del vernacolo "ragusano", sapienziale e aforistico, Giovanna sa bene come offrire al lettore un quadro idilliaco e georgico di rinnovato amore per la natura, come per un affettuoso recupero della civiltà rurale e della lingua vernacolare che a un tempo la esprime e ne è espressa, riprendendo il genere letterario degli idillî.

Chi guarda più "'u cielu stiddatu"? Chi ascolta più " 'i cicali 'nto cianu"? Ecco, nell'elegia recupera i suoni, i colori e gli umori del tempo perduto e, in essa, restituisce al lettore il piacere del ritmo e dell'accordo del vernacolo ragusano, disteso in morbide sequenze in cui si incontrano e consuonano figure come sinalèfi  e sineresi e paranomasie.

 

Dell'autrice, è apprezzabile anche la grafica, dal tratto sicuro e bene accordata con la tematica del ricordo che domina la silloge.

C'è poi uno spunto civile in Armi addannati, che suona come un ammonimento dolente alla storia dell'uomo e alla Storia.

 

Giovanni Occhipinti

 

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry