Cultura
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Giorgio Bárberi Squarotti, allievo tra i più brillanti e illustri, con E. Sanguineti, del famoso Giovanni Getto, ha segnato un'epoca, come testimoniano i suoi molti libri di critica letteraria e di poesia; o, potremmo dire, per chiunque voglia conoscere il Novecento nelle sue inquietudini e contraddizioni e nei suoi inganni, quelli della storia e delle rapide, e talora improvvide, mutazioni sociali. 

Di  Bárberi abbiamo conosciuto l'ampia produzione poetica e critica, e proprio per quella poetica vorrei passare, rapidamente, prima di affrontare il recente Le varie verità del romanzo italiano edito da Bonaccorso editore di Verona.

Debbo dire che mi ha sempre colpito, di questo amico e Maestro, dotto e di grande dottrina, la sua poesia costruita su sequenze rapide intense inquietanti, quelle che riguardano le vicende della vita, così da attraversare la Storia con la leggerezza di un "racconto", che spesso sembra reggersi sul mito o nel quale il mito si confonde con la Storia e viceversa. E tutto questo, egli fa attraverso un avvincente "racconto" esopico, specie quando, pure attraverso sovvertimenti linguistici (la tensione già nei legami logico-sintattici), da lapsus, che toccano il grado alto dell'intensità espressiva e la ricca carica di significazioni che configurano la realtà umana come celata tra le astuzie di un sottile gioco ironico e giocata su avvenimenti che coesistono con l'elemento antropologico, animale, vegetale: quasi che ogni cosa, il poeta, voglia convogliare nella grande e mai risolta problematica esistenziale.

In breve, il poeta. È invece più avventuroso addentrarsi nel labirinto della sua produzione critica, già a voler considerare soltanto il Novecento. Non va infatti dimenticato che il grande critico è un impeccabile frequentatore della parola; e lo è stato molto a lungo soprattutto da direttore della Redazione lessicografica del Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia, edito da U.T.E.T..

L'autore, la cui conoscenza abbraccia un arco di storia della Letteratura, che va da Dante ai nostri giorni, nel recente ponderoso e ricco volume di saggi, riprende il discorso, ampliandolo e approfondendolo, sui maggiori narratori e poeti italiani del Novecento. Per intenderci, da Pietro Jahier a Gozzano a Pavese e tanti altri ancora, concludendo con Gadda, Cavani, Meneghello. È una lunga sfilata dei grandi del secolo scorso: linguisti, filologi, narratori, filosofi; da Dossi al Devoto a Contini; da Montale a Testori a Pasolini; e poi Arbasino e D'Arrigo e Mastronardi; e ancora la lunga introduzione a Fenoglio, Soldati, Vassalli, attraverso i quali il lettore può visitare il mondo e viverne tutto il tragico. L'accortezza del critico è nel concepire una lucidità di scrittura che accompagni il lettore per le strade del mondo, per meglio evidenziare la pena storico-esistenziale dell'uomo della terra, in ogni luogo e tempo.

Delle Resultanze di Jahier,  Bárberi Squarotti mette in evidenza la "serietà" della satira nei confronti del personaggio protagonista, Gino Bianchi, escludendo la "beffa", proprio perché esalta la pochezza e la miseria spirituale del burocrate. Jahier è pretesto, per il grande critico, di un discorso ampio e approfondito che si richiama ad autori come Bergson, Nietzsche, Dostoevskij, Slataper, Papini, Soffici (siamo negli Anni Venti del Novecento), d'Annunzio, Rebora, oscillando tra Dio e il "demiurgo dell'età borghese" fondata sulla Burocrazia più che sulla misericordia divina.

 

Ci sembra di grande interesse l'interpretazione che dà Bárberi del diario di Pavese come l'opera nella quale si conclude la vita, e dunque è la testimonianza ultima di un travaglio finale combattuto tra pazienza e disperazione, come prova Il mestiere di vivere; insomma, il diario prepara il suicidio e segna il fallimento del "mestiere" di vivere. In esso c'è già il tragico che ritroveremo nei Dialoghi con Leucò attraverso l'accostamento al mito e la condivisione delle tragedie greche. E tuttavia, Bárberi dimostra come la scrittura sia in grado di vincerla sulla vita. O – ci chiediamo – a vincerla sulla vita e sulla scrittura è il tragico? A rifletterci, tanti dei suoi personaggi non sono che le tessere di un mosaico nel quale si finisce per contemplare la morte per suicidio, il gesto estremo (metafisico?) che conduce alla vera conoscenza. È evidente, siamo di fronte a una critica filosofico-letteraria con la quale viene indagato il destino di vita e di conoscenza dell'uomo. Una conoscenza con la quale, allo stesso tempo, si può misurare il rapporto con gli altri grandi della letteratura - dalla classicità al Novecento -, da Esiodo a Pascoli e poi a Pavese, d'Annunzio, Moravia, laddove il suicidio si identifica nell'arte, che diviene gesto della vita, come d'altronde accade nei pirandelliani Sei personaggi in cerca d'autore.

Bárberi, in questo libro, ha dedicato pagine di grande profondità a personaggi delle Langhe e certo, dopo Pavese, non poteva mancare Fenoglio, cioè La malora e dunque il paesaggio; ma come geografia del mondo. Al di là della realtà nuova che segue alla seconda guerra mondiale, il romanzo non contempla la realtà langarola, alludendo piuttosto al male di vivere così come accade ne I malavoglia di Verga: ciò sta a dimostrare, ancora una volta, che ogni luogo, per Bárberi, ha sempre la faccia della geografia del mondo, e in questo senso La malora contiene la geografia del mondo. 

Di grande interesse il capitolo Introduzione a Gadda, nel quale il maestro avverte che con  Quer pasticciaccio brutto de via Merulana inizia uno sperimentalismo attraverso la "deformazione e trasgressione della lingua" che introduce in letteratura la neoavanguardia. 

C'è, in tutti questi saggi di Bárberi, la rievocazione di un mondo ormai lontano - i primi decenni del Novecento -, che fa risaltare la differenza con la realtà odierna deformata e ferita dalla civiltà industriale che tende a cancellare l'etica della ruralità fatta di memoria e di affetti, che ben albergavano nel cuore della civiltà contadina e, dunque, nella paesanità, che è sempre autentica.

Siamo al cospetto di un'opera costruita su una conoscenza ampia e minuziosa, in grado di tessere una rete di riferimenti e accostamenti passando per i maggiori autori del nostro Novecento e darcene, al contempo, una visione di assoluta unicità e grandezza.

 

Giovanni Occhipinti

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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