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  • Argomento: Filologia

Monna Nina da Messina, poetessa e letterata. Probabilmente la prima donna a scrivere in volgare... Foscolo la definì "La nuova Saffo"

 

In risposta a Dante da Majano

Qual sete voi, si cara proferenza,

che fate a me senza voi mostrare?

Molto m'agenzeria vostra parvenza,

perché meo cor podesse dichiarare.

Vostro mandato aggrada a mia intenza;

in gioja mi conteria d'udir nomare

lo vostro nome, che fa proferenza

d'essere sottoposto a me innorare.

Lo core meo pensare non savria

nessuna cosa, che sturbasse amanza,

Così affermo, e voglio ognor che sia,

d' udendovi parlar è voglia mia:

se vostra penna ha bona consonanza

col vostro core, ond' ha tra lor resia?

[…]

Tapina me

Tapina me che amava uno sparviero, amaval tanto ch'io me ne moria;

a lo richiamo ben m'era maniero, ed unque troppo pascer nol dovia.

Or è montato e salito sì altero, assai più altero che far non solia;

ed è assiso dentro a un verziero, e un'altra donna l'averà in balìa.

Isparvier mio, ch'io t'avea nodrito; sonaglio d'oro ti facea portare,

perché nell'uccellar fossi più ardito. Or sei salito siccome lo mare,

ed hai rotto li geti e sei fuggito, quando eri fermo nel tuo uccellare[1].

 

Sono versi d’amore, di intimi sentimenti[2] della poetessa chiamata “Nina siciliana”, abbreviazione forse di Antonina (o “Nina da Messina” e anche “Monna Nina”, forse la prima donna che scrisse in volgare, definita da Foscolo la “nuova Saffo”, la cui vita resta avvolta nel mistero. Tante le supposizioni, ma niente certezze sul nome e cognome, sul luogo di nascita e sul periodo in cui visse. Per il Ragusa[3] era di Messina, secondo il Mongitore[4] rimatrice di Palermo (In entrambe le città si trova una via a lei dedicata: a Messina, via “Nina da Messina”; a Palermo via “Nina Siciliana”). Del resto, di Messina erano originari Guido e Oddo delle Colonne, rilevanti poeti della Scuola siciliana. Figura reale o leggendaria? Fu lo studioso abruzzese Adolfo Borgognoni, amico e biografo di Giosuè Carducci, nonché letterato che a Pavia occupò la cattedra già di Ugo Foscolo, a dimostrare l’inesistenza di lei[5].

 

Ed eccovi appunto il reo: la Nina. La si fe’ chiamare e trovò chi la chiamò e seguita ancora a chiamarla (avete udito or ora) la Nina siciliana. Ma non le date retta: è un nome finto, un passaporto falso. Intorno a ciò ogni questione è ormai superflua.

 

Chissà! Forse era inaccettabile che una donna potesse allora poetare. Un giallo irrisolto potremmo perciò dirlo; un giallo anomalo s’intende, dove l’investigatore non va alla ricerca dell’autore del diritto commesso ma, muovendo dall’evanescenza di Nina, avanza ipotesi per delinearne l’identikit e porla a fianco della Compiuta Donzella fiorentina o di Gaia, figlia di Gherardo da Camino, che, a detta dell’Alighieri (Purgatorio, C. XVI), interloquiva con i poeti provenzali già prima del 1254.

Ad altri studiosi apparvero superficiali, deboli e poco convincenti le argomentazioni addotte da Borgognini.  Ad ogni modo, un fatto è certo: la mancanza di dati storici non consente di darle un’identità fisica sebbene la suggestione del suo poetare abbia avuto una consistente risonanza nel Parnaso siciliano. E non solo. Il modenese Alessandro Tassoni, autore del poema La secchia rapita fece citare il nome di Monna Nina dall’Accademia della Crusca. La Turrisi Colonna, a distanza probabilmente d’oltre cinquecento anni, la citerà nella lirica Alle donne siciliane: Perché l’umil cure e l’ozio indegno / tolgon foco all’ingegno / se qui, di senno e di virtù colonna, / qui preparava Nina, / disdegnando la gonna, / al divino Alighier l’arpa divina?[6] Anche Mariannina Coffa la nomina[7]: nove armonie / chiese all’arpa fanciulla, e addusse al bello / il gentil idioma. -Enzo e Manfredi / soavemente ne temprâr le corde; e Piero e Ciullo, ed Oddo e Guido, e Nina / la baciâr sospirando.

A leggere i suoi componimenti (si suppone che avesse letti un buon numero), pur senza un contatto diretto, se ne invaghì Dante da Maiano, poeta medievale fiorentino. Le scrisse un accorato sonetto:

 

La lode e ‘l pregio e ‘l senno e la valenza
ch’aggio sovente audito nominare,
gentil mia donna, di vostra plagenza
m’han fatto coralmente ennamorare,
e miso tutto in vostra conoscenza
di guisa tal, che già considerare
non degno mai che far vostra voglienza:
sì m’ha distretto Amor di voi amare.

 

Lei gli rispose col sonetto che fa da incipit all’argomento, mostrando, oltre alla scioltezza stilistica, la sicurezza d’una propria femminilità che agli schemi dell’amor cortese e della donna angelicata sostituisce il ruolo di protagonista nei confronti dell’amato (per esempio, la richiesta di poterlo direttamente conoscere): “Tutto il loro amore era posto in scriversi l’un l’altro de’ sonetti”[8]  

 Sulla loro intesa platonicamente poetica si è soffermato Aldo Gerbino nello scritto Nina siciliana, una Saffo impregnata di spirituale tenerezza: «Amar da lontano, dunque, nello stesso modo in cui Guglielmo Bezier diceva alla sua donna: “perché io vi amo più che nulla cosa che sia, ed unqua non vi vidi, ma udito n’ho parlare”, o ancor sottolineare come Dante da Maiano si fosse comportato nel modo dell’occitano trovatore Jauffré Rudel di Blaia (cantato da Carducci) il quale, s’era invaghito della Contessa di Tripoli “senza averla mai veduta, ma solo sentendo ricordare dai pellegrini le sue virtù e la sua bellezza. Cantò di lei, viaggiò per lei a Tripoli, ma in nave ammalatosi, fu esposto sulla riva come morto. La Contessa lo seppe, venne a lui, ed egli le morì nelle braccia. Onde il Petrarca nel ‘Trionfo d’amore’, Capo IV: “Giaffrè Rudel, ch’usò la vela e ‘l remo / a cercar la sua morte»[9]. Viene in mente una storia simile: quella del rapporto fra Rilke e la Cvetaeva: non si sono mai incontrati tranne che nelle lettere che si scambiavano. La lettera, dunque, lo spazio del loro incontro per celebrare un amore impalpabile: lirico, per nulla carnale. Sono le Lettere d'amore che ci rimangono insieme ad una struggente elegia a lei dedicata in cui il poeta avverte la fugacità della vita.

E ci sarebbe da dire che l’amore immaginato abbia trovato terreno fertile nella letteratura dei nostri giorni. Chiude l’opera di Bufalino Calende greche[10]il capitolo “Posta del cuore”: lo formano un insieme di lettere dove un uomo (Io) e una donna (Tu) si confessano un amore tanto lontano quanto vicino. Siamo nella dialettica fra letteratura e vita, nutrita di parole che si infiltrano nelle stanze segrete dell’intimità: il battesimo di un modo di essere sublime tra il sogno e la scrittura. Tornando all’argomento, Borgognoni affermerà anche l’inesistenza di Dante da Maiano[11] e le varie sue tesi saranno ben presto confutate dagli studiosi successivi, a cominciare da Francesco Novati[12]. Volendo ora prescindere dalla controversia, suggestiva appare infine l’idea di Paola Malpezzi Price[13], che ha notato una certa affinità linguistica tra l’unico componimento giuntoci di una delle trobairitz, Alamanda de Castelnau, e la scrittura della Nina Siciliana. Anche il sentimento di distacco, di un io lirico femminile spaesato, che pervade il sonetto Tapina me, accomuna Nina ad Alamanda.

Se Nina realmente visse, è probabile che abbia letto i componimenti delle sue “colleghe” provenzali: come accadeva per quelli dei trovatori, i loro sonetti avrebbero potuto circolare nelle corti e negli ambienti colti, siciliani, del tempo. È significativo che Angelo Gianni, dopo l’editore Vanni Scheiwiller[14] e il critico letterario Gianfranco Contini[15], abbia incluso “Nina” nella sua raccolta[16].

 

Federico Guastella

 

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[1] Il sonetto, scoperto nel canzoniere Vaticano 3793 della biblioteca Apostolica (fonte autorevole), le fu attribuito da Francesco Trucchi, filologo toscano dell’Ottocento, definendolo “prezioso gioiello”. E lo inserì nel I volume di Poesie Italiane inedite di dugento autori (Ranieri Guasti, Prato, 1846). Da parte sua, De Sanctis nella Storia della Letteratura Italiana ha scritto: “se il sonetto dello sparviere è della Nina, se è di quel tempo, come non pare inverosimile, è un esempio della eccellenza a cui era venuto il volgare maneggiato da un’anima piena di tenerezza e di immaginazione” (Biblioteca Universale Rizzoli, 1983 (prima ed. 1870).

[2] Il sonetto In risposta a Dante da Majano fu incluso nella raccolta Sonetti e canzoni di diversi antichi autori toscani, edita da Giunti nel 1527 a Firenze, nota come Giuntina di Rime antiche.

[3] Girolamo Renda Ragusa (1674-1747), letterato di Modica.

[4] Antonino Mongitore (1663-1743), letterato e storico di Palermo.

[5] A. Borgognoni, La condanna capitale d'una bella signora in Studi d'erudizione e d'arte, Bologna, 1881.

[6] Turrisi Colonna, Liriche, Le Monnier, Firenze, 1846.

[7] M. Coffa, Poesie scelte, Noto, 1885.

[8] G. E. Ortolani, Biografia degli uomini illustri della Sicilia: ornata de loro rispettivi ritratti, G. Nervasi, Napoli, 1817.

[9] Inchiesta Sicilia.com

[10] G. Bufalino, Calende greche. Frammenti d’una vita immaginaria, Milano, Bompiani, 1992.

[11] A. Borgognoni, Dante da Maiano, Fratelli David, Ravenna, 1882.

[12] F. Novati, Dante da Maiano ed Adolfo Borgognoni, Gustavo Morelli editore, Ancona 1883.

[13] P. Malpezzi Price, Uncovering Women’s Writings: Two Early Italian Women Poets, “Journal of the Rocky Mountain Medieval and Reinaissance Association, 9, 1988.

[14] V. Scheiwiller, Antiche poetesse italiane dal XIII al XVI secolo, All’insegna del Pesce d’oro, Milano, 1953.

[15] G. Contini, Poeti del Duecento, Ricciardi, Milano-Napoli, 1960.

[16] A. Gianni, Anch’esse quasi simili a Dio. Le donne nella storia della letteratura italiana, in gran parte ignote o misconosciute dalle Origini alla fine dell’Ottocento, Mario Barone, Lucca, 1977.

 

 

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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