Spettacolo
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  • Genere: Teatro

Ragusa, 25 luglio 2020 — La dimensione in cui si muove e vive Tonia non è semplice, anzi tutt'altro!  Questo si percepisce, in prima battuta, leggendo – tutto d’un fiato – l’articolato testo teatrale di Maria Carmela Micciché, narratrice, poetessa e, soprattutto, fine scrittrice che tesse con estrema perizia e maestria la vicenda scenica in una sorta di performance in cui la stessa autrice è sempre attenta a tutte le forme espressive degli attori, a come gli stessi si devono muovere ed essere illuminati nello spazio scenico. Stiamo parlando dell’atto unico dal titolo Mi chiamo Tonia e non ho niente da salvare, tranne me con cui Maria Carmela conquista il Premio Critica Letteraria al Concorso per autori teatrali “Teatro in cerca d’Autore” Avezzano a maggio del 2019. 

Tonia è lì sul palco, a colloquiare col pubblico, mentre dentro di lei “c’era un vento caldo che soffiava sulle spighe dei sogni”. Si comporta da protagonista perché è da lei che apprendiamo diversi particolari della sua vita, che conta ormai diverse primavere. Però ci viene un dubbio. Siamo sicuri che la protagonista sia Tonia? O piuttosto i suoi pensieri più introspettivi? O addirittura entrambi? Vi sono, poi, gli oggetti utilizzati da Tonia che prendono quasi forma, in quanto sublimati in una dimensione temporale talora vicina e talaltra lontana dal momento dell’azione scenica. Eppure fanno quasi un tutt’uno con l’intero impianto narrativo. Ciò lo si nota tanto da farci quasi venire in mente una cosa: è Tonia la protagonista o, invece, i comprimari sono gli oggetti (tra cui il “cerchietto di fili d’erba intrecciati” su cui ruota una “promessa non mantenuta”; la “scatola di latta” da cui emerge un plurimo universo che anima il cuore e la mente di Tonia) che, non solo evocano i suoi ricordi (“da piccola, stavo a letto con gli occhi chiusi e dal rumore dei rami dell’abete indovinavo il colore del cielo”), ma rivelano una personalità complessa, combattuta e molto sensibile (“dal suono della voce di mia madre indovinavo come sarebbe andata la giornata”).

Molteplici gli artifizi letterari utilizzati dall’autrice, quali, ad esempio, l’uso dell’avverbio “come” (“Tonia vive da sola e ha imparato a voler vivere proteggendosi come meglio riesce a fare”; “ingenua come una poesia”; “Io sorridevo come il sole sui vecchi tetti che sembravano aver dimenticato il peso della neve”).

L’uso dell’imperfetto narrativo, che, in apparenza, sembra dilatare il tempo della narrazione, introduce nei pensieri più intimi di Tonia il cui personaggio è quello che parla di più e, soprattutto, si rivolge al pubblico. Il tempo verbale scelto dall’autrice è consono all’intera architettura narrativo-teatrale in quanto indica un momento non fissato nel tempo, ma continuativo. È un pensiero in “progress” che invita ad essere seguito fino in fondo. Un artifizio letterario-narrativo che fa toccare quasi con mano che il passato non è tutto uguale per Tonia. In tal guisa l’autrice cerca di creare una sorta di legame fra l’ordinario e quello che potremmo definire il “diversamente ordinario”, in quanto l’intreccio scenico inizia quando l’anziana Tonia varca la soglia del palcoscenico per inoltrarsi in un’avventura forse al di fuori del tempo, ma con esso costantemente in contatto, e poi la varca di nuovo per tornare nel mondo ordinario gravido di ricordi e di insidie quali il terremoto. È un terremoto reale o un terremoto dell’anima di Tonia? 

Giuseppe Nativo

 

 

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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