Religione
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Per i lettori di Ondaiblea pubblichiamo in anteprima il testo che lo scrittore, poeta e critico letterario Giovanni Occhipinti dedica all’amico don Carmelo Mezzasalma, sacerdote ragusano, laureatosi in Filosofia a Firenze con Eugenio Garin e qui ha vissuto per diversi anni.

Segni particolari: passione per la musica classica, amore per la cultura e la filosofia, e soprattutto fede profonda in Cristo. Il suo percorso di vita presenta degli aspetti, per la verità non pochi, a prima vista contrastanti, ma poi convergenti e, infine, approdati, in età matura, al sacerdozio: traguardo da tanto tempo sognato, accarezzato, fortemente voluto.

In un’intervista rilasciata al giornalista Giovanni Pluchino, Carmelo Mezzasalma si racconta così: «Sin da ragazzino mi sono innamorato del pianoforte e della musica classica; la scintilla è scoppiata quando un giorno, andando a studiare in casa di un compagnetto, vidi per la prima volta un magnifico pianoforte a coda. Dissi a me stesso che un giorno avrei carpito tutti i segreti di quella tastiera. […] Alla fine - dice - ho trovato nella vocazione la sintesi delle mie grandi passioni; diceva Giovanni Paolo II: “Dio ha chiamato all’esistenza l’uomo trasmettendogli il compito di essere artefice; e nella creazione artistica l’uomo si rivela più che mai immagine di Dio”» (“La Sicilia”, 28 agosto 2012, p.34).

 

Giuseppe Nativo

 

INCONTRARSI NELLE PAROLE

A Carmelo per i suoi settant'anni

 

Penso che Carmelo Mezzasalma abbia conosciuto aspetti dolorosi e ingiusti della vita, soffrendone le tirannie, a cui, però, ha saputo reagire col vigore e l'intelligenza dei forti che non soccombono alla sconfitta, ma piuttosto questo vigore rafforzano grazie e a dispetto delle difficoltà, facendone appunto una forza vincente. E proprio questa forza, Carmelo mette in ogni sua iniziativa come anche negli impegni e le responsabilità quotidiani con i quali affronta le tante fatiche organizzative, gestionali e culturali, che riguardano la vita, i ritmi, i sacrifici, i problemi della sua Comunità di San Leolino, nel verde del Chianti, tra Siena e Firenze, tra chiostri e complessi abbaziali, tra monti e colline punteggiate dal verde delle viti che producono uno dei vini più rinomati d'Italia.

Chi non conosce Carmelo a Firenze e nella Toscana? Il sacerdote, il professore, il poeta e saggista, il concertista. E' per tutti Carmelo: affabile ed amabile, aperto, pratico, come chi non conosca arretramenti al cospetto degli inganni della vita. Di lui avevo già sentito parlare, a Ragusa, per la passione musicale e perché era attratto dal fascino della tavolozza. Lo conobbi nei primissimi anni Settanta, amareggiato e sconfitto, ma non vinto, direi più determinato e combattivo, appena messo fuori da quella scuola di formazione alla vita religiosa e alla fede, che è il Seminario. Ahimè, qualche volta la madre faticava a racimolare la retta mensile. Il padre? Una figura assente col démone del gioco, che della vita coltivava solamente il richiamo dell'azzardo. Dolore e umiliazione trovarono soltanto più tardi conforto nella rivalsa dell'affermazione, grazie a una grande madre di tanti figli, già sola nei bisogni familiari quando aveva il marito e disperatamente sola quando non lo ebbe più. Anche se rimase sempre donna e madre di fede e i figli seppe contenerli tutti nell'unico caldo abbraccio di madre dolente, che mai smise di sperare nella forza della speranza e nella scommessa del suo Credo.

Lo studente e l'organista, alla scuola del grande Eugenio Garin e finalmente professore di filosofia (ricordo che da Garin mi fece inviare, nel 1972, l'edizione 1963 di La cultura italiana tra '800 e '900: un libro Laterza – con dedica – sulla cultura del dopoguerra, che continuava per certi versi il discorso già iniziato in  Cronache di filosofia italiana, 1945-1960 e sul quale potrei anche dire di avere intrapreso i percorsi della mia formazione storico-filosofica insieme a Scienza e filosofia di Ugo Spirito e L'essenza del nichilismo di Emanuele Severino); sì, lo studente e l'organista, divenuto professore, aveva finalmente le carte in regola per dire la sua, col prestigio che ora gli si addiceva.

A Firenze, faceva l'organista nella chiesa S.S. Annunziata per tirare su con la vita e intanto si andava facendo strada nella sua mente il progetto intorno a una Comunità religiosa. Poteva cominciare - e perché no? - col coinvolgere anche qualcuno dei suoi allievi più cari e sensibili, del Liceo classico dove aveva insegnato per qualche tmpo. E così fu, certo non senza difficoltà, ma Carmelo ha anche la personalità del leader e non gli fu difficile lottare per il suo grande ideale. Una rivalsa, una rivincita dell'uomo e della sua fede, nel nome della fede. Ed ecco la Comunità di San Leolino.

 

Prima che sacerdote, Carmelo è l'intellettuale eclettico e di molte letture, ma anche con esperienze profonde e tormentate di vita e di fede, che trovano nella parola poetica, come nella saggistica, il mezzo per una elevazione costante del pensiero a Dio, così come aveva appreso dalla madre che a Lui rivolgeva richieste e preghiere di misericordia e di protezione per le proprie creature nello sbando della vita, che talora sembra negare la sua pietà, infliggendo all'uomo la pena di esserci.

 

Abbiamo accennato alle molte letture di Carmelo e alle sue molte pagine, molte e molto belle ed edificanti, laddove tocca il cuore e la mente del lettore; ma c'è una pagina, la più bella in assoluto, che sprigiona la luminosità di una fede e di una forza interiore capaci di ideare e realizzare progetti che restano, per la loro forza esemplare, a testimoniare nel tempo la grandezza di un ideale che ci accompagna nei nostri progetti personali di verità e di carità: una pagina che si colloca tra quelle evangeliche ad additare alla nostra prossimità il miracolo della fede che può fare tutto, alimentando il bene. Il bene come conoscenza e cultura e come esercizio a ricercare Dio nella vita di ogni giorno.  Questa pagina, come dicevamo, in assoluto la più bella, Carmelo l'ha scritta fondando la Comunità di San Leolino. Ed è una pagina indelebile,che ha anche il pregio di rivelare la presenza di un siciliano illustre che, come già il nostro conterraneo La Pira, si eleva a esempio di una civiltà dello spirito  fondata sulla cultura e sulla fede, rappresentati in Italia e all'estero dalla rivista “Feeria”, che dirige, e della quale è fondatore insieme alla sua Comunità.

 

Negli ultimi tempi, Carmelo è tornato a dare spazio e vita alla sua intelligenza poetica, ma stavolta sul piano della riflessione spirituale e sulla preghiera come grazia della fede. Il poeta medita, come qui, Sui passi della Risurrezione, sul tempo liturgico della Pasqua, come era già avvenuto per le poesie sul Natale: Un mistero di carne e luce. E lo fa in sintonia con Thomas Merton, con G. M. Hopkins, con H Bremond, non perdendo di vista Pensieri di Pascal, ma neanche la vasta letteratura italiana e straniera di ogni tempo (cfr. Mirjam Boonardy, san Giovanni della Croce, Edith Stein, C. M. Martini, santa Teresa d'Avila, F. Jammes e tanti altri), sulla quale, da studioso e da religioso, ha forgiato la propria vocazione. E quella di Carmelo è una vocazione che invoca, una vocazione forte, che altrettanto fortemente invoca. E invocare vuol dire anche ricercare nel nome della vocazione. Tutto questo, egli fa col pensiero rivolto alla riflessione, per esempio, di un Carlo Maria Martini e di Didier Rimond. Ed ecco che la sua poesia si struttura in canto di fede sul modello dei grandi autori della fede: per esempio il gesuita Hopkins.

 

Di Carmelo ricordiamo i tempi lontani dagli itinerarî poetici quasimodiani e magnogreci (Le isole vaganti, 1976) nei quali, in una intensa e inquieta avventura della memoria, ricrea l'atmosfera della grecità, come sentimento dell'eros che pervade le sue liriche (“[...] mi sarà riposo/l'umana certezza/di greca pubertà”). Da una ricerca nella direzione del Mito (ivi), Carmelo ha saputo ben concepire l'interpretazione drammatica - o Oratorio -  di In nome del Padre (1999) riportando tra noi il dramma dell'Ultima cena e la metafora della purificazione dei discepoli (per esteso gli uomini) attraverso il lavaggio dei loro piedi da parte del Cristo, attorno al quale ruotano Maria di Magdala, i discepoli, gli ebrei, naturalmente trasferiti nella contemporaneità.

 

Oggi, il sacerdote poeta è invece attraversato spinto mosso segnato dalla tensione all'orazione e all'adorazione interiore, per usare due termini lapiriani, che affida alla intensità dei suoi versi-preghiera, come in queste sue poesie per la Pasqua che liberano la loro forza proprio Sui passi della Risurrezione. Non per niente Leo Di Simone dà una interpretazione teologica della liturgia cristiana nella poesia di Carmelo Mezzasalma, allorché segue o contempla, ripercorrendoli, i passi della Risurrezione come adesione al mistero di Dio. Già prima, lo constatavamo in quelle pagine di versi (cfr. Un mistero di carne e luce, Auguri natalizii in forma di poesia, 2014) che si aggiungono a quelle, foltissime e varie, sulla letteratura del Natale e riuniscono insieme grandi pensatori, scrittori, poeti del mondo nella domanda insistita e sofferta, ma speranzosa, intorno alla grazia e al mistero di  Dio. Una piccola, ma compatta summa teo-cristologica nella quale l'interrogativo e l'interrogazione sembrano scuotere le certezze della fede, ma in verità la elevano e la celebrano sull'altare penitenziale dell'esistenza, tra dolore e preghiera, tra speranza e riscatto dal male, nell'umana sopportazione del mondo, in nome della carità e dell'Assoluto, spesso raggiungibili dai percorsi imprevedibili della meditazione. A questo punto, la poesia di Carmelo trae il proprio slancio dall'accento salmistico che accende versi come questi: “Talvolta/sui fiumi nascosti della vita/appendiamo le nostre cetre d'anima/ scrutando sempre un futuro migliore”. Da queste immagini, che ricordano, sia pure metaforizzato, il Salmo 137 (136), nasce Sui fiumi nascosti della vita, il commento che sembra volerci dare la misura di un'esperienza spirituale e interiore nella quale è possibile la ricerca del conforto divino nel confronto assiduo e dolente con gli inganni dell'eterno quotidiano, il quale spesso tende a sminuire il sentimento d'amore e di umiltà dentro al quale vive la dedizione, offuscando la gloria della caritas, ma, alla fine, confermandoci in Dio.

 

Un'amicizia lunga, la nostra, Carmelo, a dispetto della distanza che ci separa: tu nella terra di Dante, io in quella di Pier delle Vigne, a cantare, ciascuno, parole che mirano al Cielo. Epperò, in queste parole ci incontriamo come in una preghiera recitata insieme e insieme ci illudiamo di scrutare l'imperscrutabile. Tu e io, da due punti diversi della terra, da due diverse intensità di fede, comunque entrambe protese al fascino e all'ansia per il mistero di Dio. Tu, da consacrato a Lui; io, da vagabondo della terra!

 

Venivi a darmi un saluto a scuola, nei primissimi anni Settanta, le volte che incontravi tua madre. Lavoravamo entrambi nello stesso Plesso scolastico e io, di lei, apprezzavo la laboriosità e il  profondo legame affettivo che ebbe sempre per i figli, spesso oggetto di certe nostre confessioni, nelle quali, puntualmente, rientravano i problemi dei miei.

Ricorderai che qualche volta si andava a Marina di Ragusa per una passeggiata e una colazione insieme: un'abitudine mantenuta ancora oggi, quando la mattina, dopo aver celebrato messa nel Monastero delle Carmelitane (per me, il Monastero di Suor Paola), ci incontriamo per la passeggiata verso il solito Bar. C'è sempre qualcuno dei ragazzi della tua Comunità professori e/o sacerdoti: Alessandro o Bernardo; Lorenzo o Bruno o Enrico o Giovanni. Si parla di tante cose: della rivista “Feeria”, dei viaggi di studio per il mondo, di presentazione dei libri in Toscana e lungo la Penisola, delle Edizioni Feeria - Comunità di San Leolino, di concerti, della gloriosa “Hellas”, la rivista di letteratura e mito degli anni Settanta ed anche delle tue traduzioni, Carmelo: da Cantico dei Cantici a Poesie di san Giovanni della Croce; e poi delle tue poesie e dei tuoi concerti e delle tue lezioni di letteratura poetica e drammatica presso l'Istituto Superiore di Alti Studi Musicali “L. Boccherini” di Lucca. Si parla anche della tua esperienza giovanile di studio concertistico a Parigi e dei seminari di cultura e spiritualità nella tua Pieve, a san Leolino.

 

Quante volte ci si è incontrati a Firenze: in Palazzo Vecchio o a Palazzo della Regione o nella libreria Mel Bookstore per convegni e recital di poesia, o per ricordare il mecenate e poeta Alberto Caramella, divulgatore di Cultura e ideatore della “Fondazione il Fiore”, tra le colline di Bellosguardo di foscoliana memoria. E poi alla “Giubbe Rosse” per un convegno su Alberto e, prima, a san Miniato, nell'86, per il convegno mondiale dei Poeti organizzato dal fraterno Mimmo Morina e presieduto da Lèopold Sedar Senghor.

 

A te debbo l'aver conosciuto il caro Mario Specchio, scrittore e poeta di grande spessore e valente germanista nella Università di Siena, studioso e traduttore, tra gli altri, di Rainer Maria Rilke.

Di Mario, rileggo ancora Vita di Maria e la sua prefazione dedicata “Agli amici di san Leolino”; o i saggi rilkiani, in Paesaggio senza figure.

Fu tra gli amici più cari nella celebrazione dei Cinquant'anni del mio matrimonio con Anna, nell'incanto del Chianti e nell'abbraccio ideale con te, Carmelo, e con Alessandro, Bernardo, Bruno, Enrico, Giovanni, Lorenzo.

 

D'estate, i nostri incontri si spostano nella borgata marinara di Punta Braccetto, di solito la sera, ma qualche volta sotto il sole africano di quel cielo. Si va per qualche chilometro lungo la spiaggia che conduce al Bosco di Randello, già teatro, nel 1943, dello sbarco degli Alleati e si procede sin nelle vicinanze dell'antica Kamarina. O capita di arrampicarsi sulla cinquecentesca torre di avvistamento... dei “pirati saraceni”, che nottetempo scivolavano silenziosi per poi scatenarsi a razziare i villaggi dell'entroterra.

Ah, questo Mediterraneo! Croce e delizia dei popoli delle sue sponde! Il biblico mare, un teatro di civiltà e di orrori!

Concludevamo così le nostre riflessioni dal sommo della torre, sul promontorio che chiude “Baia dei Coralli”. Ricordi, Carmelo?

 

Giovanni Occhipinti

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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