Cultura
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  • Argomento: Storia, Filosofia, Fisica

Da Tommaso Campailla (1668-1740), le dottrine cartesiane furono esposte nell’Adamo: il poema pedagogico in 11.225 versi che consente di saggiare il livello di ricezione della cultura filosofica e scientifica nel territorio ibleo, mentre il volume Filosofia per principi e cavalieri, pubblicato postumo a Siracusa nel 1841, ne sintetizza le più importanti argomentazioni ad uso del suo discepolo, il Cavaliere Giuseppe Grimaldi.

Pregevole la prefazione all’Adamo curata da Giacomo De Mazara ed Echelbez (riprodotta in tutte le edizioni): oltre a lodarne le qualità stilistiche come per esempio l’allegoria «ombra compagna del Poema» e ad evidenziare il valore delle scienze positive, ha sottolineato il rapporto di Campailla con Cartesio: se dal filosofo francese ha tratto un complesso di elementi segnandone la dipendenza, nello stesso tempo ha  manifestato la sua autonomia: per esempio nell’adozione del metodo empiristico antitetico al deduttivismo a-priori del sistema cartesiano. E l’ammissione del diritto di criticare Cartesio: «quanto si sia luminoso un ingegno, non mai va esente da errori». Brani di elevato spessore quelli della prefazione. Citandoli, Carmelo Ottaviano ha scritto: «Da questo punto di vista il Campailla è forse il più tipico anello di passaggio dalla fisica cartesiana alla fisica sperimentale moderna...In questo egli è tipicamente italiano, galileiano»[1].

Diciamo per inciso che Campailla scriveva in “volgare” allo scopo sicuramente di rivolgersi a una cerchia di lettori d’ambito territoriale e nazionale che non conoscevano il latino del Settecento adoperato dagli uomini di scienza. Ed è in versi la sua opera maggiore: una filosofia della scienza in versi, dunque, per la scelta di impreziosire la spiegazione di materie tecniche e credenze teologiche, tanto ardue, con l’eleganza della poesia.

L’opera Adamo, ovvero il mondo creato (detta dall’autore poema filosofico, il cui sottotitolo è con evidenza tratto dal poema omonimo di Torquato Tasso), pubblicata in cinque edizioni che vanno dal 1709 al 1783, è costituita da venti canti; ha il fondamento nella filosofia cartesiana: si manifesta a partire dal primo quando Adamo, cominciando a meditare su sé stesso, si serve del procedimento dubitativo-psicologico fino a convincersi dell’esistenza di alcune verità primordiali da cui derivano le conoscenze. Siamo nella dottrina dell’innatismo che nel Nostro ha più un valore mistico di stampo agostiniano, afferma Carmelo Ottaviano.

 

Io , che son? Chi son io? Sì, corpo io sono;

 ch’altro non veggo in me che il corpo mio.

 Ma se corpo son io, come ragiono?

 E son cosa che penso e che desio?

 Pur se di corpo in me le parti sono,

 come penso che corpo or non sono io?

 In me e corpo e se pensiero aduno

 come due non son io? come non son uno?

 

Se penso dunque, e corpo esser pens’io,

son corporeo pensier, corpo che penso;

ma come s’è corporeo il corpo mio,

    dal corpo astratto il mio pensier ripenso;

né corpo io son, che di pensier desio,

perché i pensier, solo in pensar dispenso;

e se al pensare è il mio pensiero accinto,

penso dal corpo il mio pensier distinto.

[…]

Io penso, dunque son; cosa che pensa

    Son io, che mentre penso, adunque sono.

    Conosco il mio pensier, che a ciò ripensa,

    e nego, affermo, dubito, ragiono,

    intendo, voglio: ho di pensieri immensa

    turba che del pensier più modi sono:

    e mentre sento, immagino ed apprendo,

    in queste varie forme idee comprendo.

 

È l’Arcangelo Raffaele, guida e maestro che, presentandosi come medico e filosofo (vale a dire l’interprete degli arcani della natura, soddisfa il suo interesse a conoscere: la propagazione della luce e le macchie solari, la descrizione della via lattea e dei pianeti sono gli argomenti di geografia astronomica di cui si materia la poesia dell’opera, unitamente a questioni di anatomia delle piante, dell’organismo umano e delle sue malattie.

 

Io t’illuminerò la mente oscura,

gli arcani ti schiuderò de la scienza...

 

Nel Paradiso terrestre sorge il palazzo delle Scienze, il quale, descritto con vivace splendore, contiene tutti gli strumenti fisici che saranno inventati dagli uomini. Vi è la biblioteca in cui sono custoditi tutti i libri che saranno scritti, e il poeta loda Cartesio, sant’Agostino, censura  Aristotele per avere espresso molte eresie e loda, fra i siciliani, Giambattista Hodierna. L’ammissione del vuoto e di rudimentali convinzioni atomistiche l’allontanò da Cartesio (evidenti i contributi, da lui utilizzati, di Gassend in particolare; e anche di Bayle, Boyle, Huygens, Mayows, ed altri). Il Muratori con enfasi lo chiamò il «Lucrezio italiano e cristiano» (ed è noto che questi fu l’autore del “De Rerum Natura” in cui si trova l’esposizione in esametri della dottrina di Epicuro) 

 

Atomi minutissimi minutissimi uncinati

[…]

Si uniro in filamenti attenuati

molli fibre formando e flessuose:

i tenui corpiccioli e delicati

si giunsero in particole ramose.

Di fibrette, e di fila in rami intesti

son, pingui ed oleosi i solfi questi

 

   Le conoscenze esposte con ingegnosa armonia, esplicative delle leggi della creazione, pur non cessando di essere tecniche, spesso riescono a farsi poesia: «parmi sia ardimento tale da gloriarsene non una sola nazione, ma la civiltà tutta quanta» (Serafino Amabile Guastella).

   Berkeley l’aveva già apprezzato con le sue due lettere scritte in latino: la prima inviata da Messina nel 1718, la seconda da Londra nel 1723.

La sua venuta a Modica[2] è notizia indirettamente ricavabile dal racconto del Sinesio[3], il quale parla di due inglesi che andarono a trovarlo e quasi si pentirono d'aver fatto quel viaggio «per le sassose e scoscese vie della Contea»: Ma poi, entrati seco in ragionamenti filosofici, da insolito stupore presi, ebbero a confessare d'avere ritrovato in una figura d'uomo due mostri, uno di natura, l’altro d'ingegno e di dottrina. Ma è la frase della prima lettera: «Id unum me male habet, quod exaudito tuo colloquio diutius frui per itineris festinationem non licuerit» a testimoniare di un colloquio personale. E non poteva non essere avvenuto che a Modica, giacché Campailla non era mai uscito dalla sua città, a differenza del Carrafa[4].

Non c’è dubbio che la cultura modicana dimostrava di essere spiccatamente sensibile alle questioni scientifiche, e ciò risulta anche dall’attenzione rivolta alla cura della sifilide e di altre malattie mediante la stufa fumigatoria: una botte ricoperta di calcestruzzo all’esterno e capace di contenere una persona che vi respirava esalazioni di persolfuro di mercurio misto ad incenso: metodo conosciuto da tempo, ma rivisto da Campailla che vi aveva introdotto delle innovazioni.

Così S. A. Guastella nell’operetta Tommaso Campailla e i suoi tempi (Modica, 1880; ristampa Pro Loco, Modica, 1976): «Una compatta e costantissima tradizione attribuisce al Campailla l’invenzione della stufa fumigatoria, che esiste nel sifilocomio di Modica, e che è divenuta famosa per molte e mirabili cure: altri invece, la attribuiscono a Giovanni Michele Gallo, celebre pel suo trattato Dell’uso e dell’abuso del latte in medicina, tradotto poi dal Wanswieten. In tanta buia discrepanza, esaminerò brevemente i pochi fatti, che si riferiscono a codesta quistione».

Lo studioso precisa di ritenere più probabile la convinzione dello Scinà per il quale inventore fu il Campailla, fissando la data nel 1698. La descrizione che ne fa è accurata ed evidenzia la ricchezza delle guarigioni: «...se ne è ingigantita la fama, che i sifilitici vi affluiscono da ogni più lontana parte dell’isola».

Infine, la domanda: «Ora ammesso, come sembra probabile, che il Campailla sia stato l’inventore di quella botte, qual è il merito che può spettargli? Non certamente il metodo di fumigazione, giacché era adoperato presso gli antichi[5]; non l’apparecchio della botte, giacché era conosciuto molto e molto tempo prima di lui[6]; non la vaporizzazione del mercurio nelle malattie sifilitiche, perché se n’era fatto uso parecchio tempo prima del 1698[7]; ma sembra che il suo merito principale stia nella modificazione recata ai metodi usati anteriormente nella cura della lue venerica, e molto più nella modificazione all’apparecchio della stufa o botte fumigatoria che voglia chiamarsi...».  

Delle altre sue opere, scrupolosamente analizzate da Carmelo Ottaviano, citiamo appena L’Apocalisse dell’apostolo San Paolo (poema teologico in sette canti in ottave), Dell’incendio del monte Etna e come s’accende, Considerazioni sopra la fisica del Signor Isacco Newton nella sua opera De’ principij di Filosofia Matematici, conosciuta quando Berkeley nel 1723 gli aveva inviato in dono il libro del filosofo e scienziato inglese, è forse la più importante.

Lo scritto Moto interno degli animali, trattato di Iatromeccanica[8], fu inviato alla Royal Society per mezzo di Berkeley. 

Soffermiamoci appena un attimo sul sentimento della natura, vista non solamente come ricerca scientifica ma come abbandono lirico; già presente a larghe pennellate in molti versi dell’Adamo, riappare  nell’Apocalisse, in cui i versi del canto I (stanze 72-73) esprimono lo stato d’animo della quiete in un’aura mitica di delicata e armoniosa affabulazione linguistica:

 

Scorron tra i sassi limpidi ruscelli,

né pur si sente il mormorar de l’onde:

agita l’aura lieve i ramuscelli,

né punto susurrar si odon le fronde:

Senza mai strepitar volan gli augelli,

E da gli antri né men l’Eco risponde:

Belva fiera non v’ha, che quivi strida,

tutto è concordia, e sol pace vi annida

 

   Il Guastella ritiene che il paragone possibile dell’Adamo col Tasso sia da riscontrare nel fatto che entrambi hanno cantato della Creazione con la scienza dei loro tempi. Esperto conoscitore di Dante che nel canto XII imitò le terzine di Dante sull’angelica farfalla quale simbolo di metamorfosi, nel Campailla agisce prepotentemente il desiderio della conoscenza scientifica e teologica con la quale intende accostarsi alla fede e all’amore verso Dio. Anela alla contemplazione della bellezza, al ritorno alla primitiva innocenza mentre il divino agisce in lui come forza che ispira la sua produzione poetica: la luce del vero, del bello e del buono sana e innalza e l’anima ne rimane affascinata: è in sintesi il mondo divino ad essere percepito come la realtà più degna a cui si possa aspirare. Non a caso nel ventesimo canto dell’Adamo l’Arcangelo l’ammaestra sull’innatismo dell’idea di Dio, quale fonte suprema di ogni conoscenza: “vero Lume, Essenza e Vita”. Conoscenza e bellezza coincidono e sono l’espressione di Dio che innerva le le leggi del mondo fisico e sono armonia preesistente da ritrovare al di là della realtà peccaminosa. E Campailla, dotato di “intimità religiosa”, ha saputo esprimere con i suoi luminosi versi la verità del mondo proveniente da Dio.

Gli Emblemi, opera rilegata in pergamena essenzialmente poetica (Palermo, 1716), comprendono 278 Sonetti su vari argomenti (Distinti in epidittici, sacri, morali, dottrinali e poetici): ciascuno di essi ha uno stemma o “emblema” e Campailla ne spiega in versi il significato. L’immagine, per lo più desunta dal blasone è posta ad epigrafe del sonetto: si espande nei primi undici versi e ingegnosamente si raddensa nel terzetto finale, audace e sentenzioso, in cui si ammira l’energia della creatività, tale da originare «guizzi di luce».

Nel sonetto a Cosmo dei Medici, che prende il via dallo stemma del casato, dopo aver paragonato Cosmo ad Alessandro Magno, lo inneggia in modo esultante, ponendo in evidenza le plurime capacità di dominio:

 

Nè in ciò sol gli Alessandri hai tu secondi:

     Ma negli Orbi che spieghi, a spiegar vieni

     che un Cosmo sol sa dominar più mondi.

 

   Non mancano bisticci e giochi di parole a volte ingegnosi ed altre volte, molto spesso, artificiosi; e l’iperbole è abbastanza presente: esempio di cattivo gusto della poesia seicentesca su cui si è soffermato Guastella nel suo discorso.

   In quanto ai Vagiti della penna, raccolta inedita di sonetti giovanili[9], S. A. Guastella, non conoscendo l’opera per sua ammissione, ritenne, con tutte le riserve del caso («campo fallace delle ipotesi»), che posteriormente fossero stati dal Campailla stesso rifusi nella raccolta gli Emblemi: «E a questa opinione m’induce… principalmente la data, espressa o desumibile dall’argomento, la quale nei più rudi corre dal 1688 al 1693, data quest’ultima, in cui Campailla era venticinquenne. E a venticinque anni, secondo il Sinesio, si era seriamente dato al culto delle lettere amene. Difatti i sonetti parlano d’amore e altri dedicati a personaggi locali. In gioventù, scrive Guastella dopo aver parlato della poesia nel secolo XVIII, era per Campailla dilettevole il poetare in dialetto, componendo la canzuna (“ottava a due sole rime alternate, modulata sempre in falsetto acutissimo»), che si cantava e si diffondeva rapidamente.

  Ci avviamo alla conclusione dicendo che l’impegno del Campailla va inquadrato all’interno dei fattori che hanno favorito la nascita e lo sviluppo della cultura modicana con particolare riferimento alla presenza di una prestigiosa scuola medica: il Collegium Motycense, palestra di elevata ricerca e sperimentazione[10]. Non va ignorato il contesto ambientale ed è alquanto riduttivo il quadro tracciato da Guastella che nel suo colto saggio prende soltanto in considerazione le deformazioni ambientali. Le tante sollecitazioni culturali indubbiamente contribuirono ad incrementare la passione di Campailla per il sapere, messa doverosamente in risalto da alcuni puntuali contributi[11] in “Archivio Historicum mothicense” (4/98) e disponibile in PDF col titolo Produzione scientifica e letteraria di Tommaso Campailla; la concezione di T. Campailla. Dall’epistolario Campailla-Muratori.

   Concludiamo ora riportando il brano finale del prefatore Giorgio Colombo che ci sembra abbastanza calzante e di sintesi significativa: «In tale sintesi dell’Uomo di aspetto fisici brutto e di animo ansioso, e però di gentile attenzione alla bellezza femminile, naturalistica e poetica[12]; attento, e partecipe alle sofferenze fisiche ed alle inquietudini della ‘mente’ umana; animato dalla sinfonica visione di un cosmo in movimento e biblicamente culminante nell’emergere di Adamo, in cui l’universo immenso si fa consapevolezza e voce-, degno di rilievo è pure l’intento promozionale culturale- il Sapere non ristretto elitariamente dentro la cerchia degli Studiosi-, che muove Campailla a scrivere la ‘Filosofia per principi e cavalieri’ nonché il Suo impegno civico di ‘giurato’, svolto – non certo come svago o un vanitoso traguardo – a servizio della Sua città[13]».

Federico Guastella

 

::

[1] C. Ottaviano, Tommaso Campailla. Contributo all’interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia. Cedam, Padova, 1999.

[2] C. Ottaviano, Analisi di due lettere di Berkeley a Tommaso Campailla, in C. Ottaviano, op. cit.

[3] Secondio Sinesio, Vita del celebre filosofo e poeta Signor D. Tommaso Campailla, Patrizio modicano, Siracusa, 1783; ristampa Modica, 2005.

[4] Per l’analisi dettagliata delle due lettere: C. Ottaviano, Tommaso Campailla. Contributo all’interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia, Cedam, Padova, 1999.

[5] Nota dell’Autore: Celso nel capo 27 del libro terzo, parlando della paralisi, descrive il modo di fare le fumigazioni solforose sul membro paralitico.

[6] Nota dell’Autore: Areteo di Cappadocia nel secondo discorso sui bagni a vapore, al capo primo dice così: optima vero est in DOLIIS facta evaporatio, ad exudandum, eo modo ut caput extra DOLIUM promineat, frigidumque aerem attrahat, reliquum vero corpus calefiat.

[7] Nota dell’Autore: Nicolò Massa fu il primo che ne fece uso.

[8] Del moto interno degli animali, ragionamento del signor Don Tommaso Campailla. - Palermo 1710, presso Antonio Pecora.

[9] I vagiti dell'ingegno, poesie varie, così erroneamente Mongitore l’aveva denominata e ovviamente anche Guastella, ha in effetti il titolo I vagiti della penna. Poesie del Signor Don Tommaso Campailla (Bibl. Comun. Palermo; ms. 4 Qq B4).

[10] Per l’approfondimento la prefazione di Corrado Dollo in De epidemica lue. Scienza medica e devozione mariana della crisi del 1709 a Modicadi Francesco Matarazzo (pubblicata a Palermo nel 1719), dove lo studioso analizza cause e rimedi. Lo scritto, tradotto dal latino da Giuseppe Raniolo, contiene la postfazione dello storico Giuseppe Barone sulla figura e l’opera di Vincenzo Mirabella.

[11] Giovanni Criscione: Produzione scientifica e letteraria di Tommaso Campailla; Daniela Di Trapani: I poemi di Tommaso Campailla. Fonti ed elementi per una rilettura critica; Giovanni Criscione: La concezione di ‘filosofia’ di T. Campailla. Dall’Epistolario Campailla-Muratori.

[12] Nota dell’autore: Cfr. Adamo; Apocalisse di Paolo; scambio di Sonetti con Girolama Grimaldi. [Corsivo nostro].

[13] Nota dell’autore: Lettera a Muratori de 2-1-1731.

 

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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