Cultura
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Nell’incantevole scenario del territorio ibleo, tra natura, barocco e storia, si erge maestosa la struttura che tutti conosciamo come il (cosiddetto) “Castello di Donnafugata”, uno dei monumenti più intrisi di leggenda e storia. 

Varcare la soglia dell’antico immobile e trovarsi catapultati indietro di secoli, immersi in un’atmosfera forse immaginata e forse letta solo sui libri, è comunque un’esperienza a dir poco ammaliante. Se a tutto ciò si aggiunge lo sfarzo di una pregevole mostra di abiti antichi, il luogo assume una valenza non indifferente.

Si tratta della “Collezione Gabriele Arezzo di Trifiletti”, una vasta raccolta di abiti e accessori dell’Ottocento. Una collezione unica nel suo genere e preziosa testimonianza della società aristocratica siciliana. 

Il visitatore ha l’opportunità di passeggiare tra i saloni del “castello” e ammirare la bellezza degli abiti in cui storia, arte e moda si intrecciano in un connubio perfetto. Il piano che accoglie la “Galleria del Costume” è il piano principale, ovvero il piano nobiliare dove è possibile apprezzare un susseguirsi di saloni e stanze, che, in occasione della mostra, ravvivano la già suggestiva atmosfera che si respira tra gli arredi. La “Sala d’attesa” (ovvero il primo ambiente in cui entra il visitatore, luminoso salone con grandi quadri di inizio Ottocento) ospita due abiti, uno maschile e uno femminile. Risalta agli occhi il blu intenso della veste maschile col giallo oro dei bottoni gioiello, intarsiati dalle iniziali C. A. (Casato Arezzo).

Poi la “Sala della musica”, un salone particolare per le pareti “trompe-l’oeil”, raffiguranti paesaggi fantastici e soggetti reali, come il Teatro Massimo e l’Orto Botanico di Palermo e lo sfondo con il mitologico Mongibello. Questa sala ospita un abito appartenuto a un grande personaggio del mondo della musica: Vincenzo Bellini. L’abbigliamento è composto da un gilet giallo a righe nere, pantaloni neri, giacca beige con rifiniture in merletto. Il merletto fa da pendant al bavero. A completare il tutto, alcuni spartiti, che rendono viva e presente l’antica figura del musicista.

Dalla “Sala della musica”, si passa dalla “Stanza della leggenda di Bianca di Navarra”. Una stanza che non ospita nessun abito, ma è ugualmente meritevole di attenzione. Si tratta del nucleo più antico dell’antico immobile, corrispondente alla torre originaria. La stanza è legata alla leggenda secondo cui il nome Donnafugata deriverebbe dalla fuga di una donna. Si narra che nel XV secolo, il vecchio conte Bernardo Cabrera avesse rinchiuso in questa stanza la giovane principessa Bianca di Navarra, vedova di re Martino il giovane, per costringerla a sposarlo. La principessa riuscì a fuggire e il conte, trovando il letto vuoto, ancora caldo del suo corpo, si addormentò tra le lenzuola.

Con la leggenda di Bianca di Navarra prosegue il filone romantico e leggendario parlando di un altro abito. Si tratta di un vestiario femminile definito “Abito per il pomeriggio”, che si trova nella “Sala degli specchi”. È un abito bianco puro, a maniche corte, a balze, arricchito da fiocchi beige e verdi sparsi qua e là per tutta la sua superficie, e una gonna dal diametro di quattro metri e mezzo. Il bianco dell’abito risplende e abbraccia tutto il salone, la cui immagine si riflette rimbalzando da uno specchio all’altro.

Contribuisce ad arricchire la “Galleria del Costume”, l’abito che ispirò quello di Angelica nel “Gattopardo”. È un abito da ballo in organza avorio, a righini lucidi, montato su base di seta verde chiarissimo. Tutte le decorazioni concedono all’abito una maestosità che lo ha reso noto in tutto il mondo per la scena del ballo di Angelica.

La visita al “Castello di Donnafugata” è un tuffo nel passato, in cui ogni cosa rivela una storia romantica e una leggenda misteriosa di una Sicilia dal sapore ottocentesco e nobiliare.

 

Lucia Nativo

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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