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La  raccolta di versi di Domenico Pisana, “Tra naufragio e speranza”, Europa Edizioni, Roma, 2014,  è un monito, un grido di allarme, di disperazione, che diventa invocazione d'aiuto, preghiera, palesata già nel titolo. 

Le liriche sono contrassegnate da un numero romano e il libro è diviso in quattro sezioni, ognuna delle quali è preceduta da una eloquente citazione prodromica; esse, in crescendo, guidano il lettore nel passaggio dalla "notte", intesa come assenza di Dio, alla possibilità, pur intravista fra le tenebre, di "sognare la speranza" di ritrovarLo. 

Quella di Domenico Pisana è una lucida e sofferta riflessione sui mali che affliggono l'uomo contemporaneo e, quindi, la società di oggi.

L'uomo ha peccato di superbia, si è comportato come Lucifero, l'angelo che voleva sostituirsi a Dio, ha creduto anch'egli di poterne prendere il posto, di poterne fare a meno, ha ritenuto di non aver bisogno di una vera Guida. Così leggiamo nella prima lirica, dove la luce è quella della ragione umana:

 

“La luce.....

ci ha separati gli uni dagli altri

e i suoi raggi rivestiti di emancipazione

ci hanno resi signori della vita e della morte.”

 

L'uomo, senza Dio, pretende di risolvere tutto alla luce della sua sola ragione ed è così precipitato "nel vuoto privo di luce". E già sentiamo, straziante e disperato, il grido dell'autore:

 

“....Cerco la Lanterna perché la terra

illuminata di luce

risplende di "inesorabile sventura”. 

 

E inizia, in questa prima lirica una contrapposizione che proseguirà per tutto il testo fra la luce, con l'iniziale minuscola, intesa come la ragione dell'uomo, e la vera Luce, con l'iniziale maiuscola, cioè Dio, che ci illumina e ci guida.

Da questo peccato di presunzione, così come è accaduto a Lucifero, hanno avuto inizio tutte le sciagure dell'umanità.

 

“....Avevamo alzato la ragione sull'imbarcazione della vita

in un viaggio sicuro di sogni rimasti scritti sul ghiaccio,

il sapere s'è invece sciolto nell'acqua della menzogna,

l'arroganza dell'onda ha travolto l'arroganza della mente”.

 

E gli occhi del poeta, dolente, “osservano il pianto dei naufraghi”.

Si, perché solo il naufragio può attendere chi pretende con superbia di procedere nella vita guidato dalla sua sola ragione e da false ideologie:

 

“...Ci eravamo illusi di sciogliere tutti i catenacci,

nessuna ombra poteva infiltrarsi

nelle trafitte delle nostre certezze”.

 

e ancora

 

“La luce emancipata della modernità

s'è spenta in un naufragio

di ragioni sconvolte...  

....

Follia della modernità, eden ritrovato

dell'eternità della materia!”

 

L'uomo è stato travolto dalla sua presunzione e dalla sua tracotanza! Ha fatto della materia i suoi idoli, attribuendo loro l'eternità che è propria di Dio e di chi da Lui si fa guidare.

 

“Siamo sprofondati nella notte” constata amaramente il poeta.

 

“Le certezze si sono liquefatte lungo i sentieri

della debolezza mascherata di forza”.

 

E infatti, cos'è l'uomo senza la forza che gli viene dalla vera Luce? La luce della sua ragione è solo forza apparente e lo trae in inganno!

Lontani dalla vera Luce, abbiamo perso il senso dei valori autentici, non siamo più in grado di riconoscerli. Non sfugge tutto questo all'Autore che osserva, mortificato, a capo chino, quasi a chiedere perdono per l'intera umanità: “Inchino il capo e osservo il bruciare degli istanti”

Si! L'uomo contemporaneo vive attimi privi di autenticità, di sentimento e li "brucia" quegli attimi effimeri, bruciando con essi l'intera sua vita. Non si sofferma a riflettere, corre in un mondo dove quel che conta è apparire e non essere, e diventa “volti che parlano senza parlare e vivono senza vivere”. E, inevitabilmente, un malessere si fa strada, pur in quest'uomo che ostenta sicurezza e “cocci d'ansia sono racchiusi nell'anima/ anche se i cuori giocano alla felicità /e il mercato cambia l'amore in prostituzione/ mentre una voce suadente assale le orecchie stuprate di piacere”.

Parole dure, pesanti, che cadono sull'animo come macigni e ci costringono ad aprire gli occhi: non è forse questa la nostra vita? Una corsa al denaro, al piacere, al potere. Passiamo sul corpo dei nostri simili pur di ottenere quello che vogliamo, svendiamo l'onore e la dignità! In questo mondo di falsi ed effimeri valori, avendo perso la guida della vera Luce e della salvifica Parola, l'umanità si avvia ad un inesorabile naufragio, sotto lo sguardo impotente e angosciato del Poeta: “sono qui ad osservare il naufragio... con la mano tesa verso l'Infinito”.  L'Autore si accorge che è la fine e chiede aiuto a Colui che solo può indicare la strada.  E in questa corsa all'ultimo piacere inesistente, “ognuno vive di solitudine propria...”: 

 

“…Viviamo stagioni di solitudini,

le folle mutano come il tempo

e la solitudine rimane uguale a se stessa…”

 

Quanta dolorosa verità in questi versi! L'uomo ha perso il suo compagno di viaggio, come Caino perse Abele. E: “si apre il varco dell'indifferenza vestita di noia...”

Che attento, preciso, profondo ritratto dell'uomo e della società contemporanea. Rincorriamo un piacere che NON ci dà piacere, non vediamo più il nostro prossimo, siamo indifferenti alle esigenze e sofferenze altrui, presi e compresi di noi stessi. Non è forse vero che siamo soliti dire solo: Io, Io Io e mai Noi? E a cosa tutto questo conduce? Ad una inesorabile solitudine, intesa anche e soprattutto come vuoto interiore! E dall'abisso che è in noi emergono i nostri lati peggiori, che hanno il sopravvento in assenza della vera Luce, “l'invidia” che col suo “fumo avvelena le foreste”, l'ingiustizia, perché la giustizia degli uomini è anch'essa manipolata e ingiusta (“dalla riva vedo naufragare una bilancia”). E in questo naufragare di valori, scompare la sincerità dei sentimenti, rimangono finzione, menzogna, sospetto, accuse:

 

“... Dove lo sguardo è un sasso appuntito

e il cuore una sbarra di ferro;

dove l'anima è un languido greto

e la parola un coltello a doppia lama”.

 

Tutto sembra perduto, irrimediabilmente compromesso, ma il Poeta animato da autentica fede non si rassegna e cerca, in tanta oscurità, la vera Luce, in tanto frastuono, la vera Parola. E lo fa con la sua pulsione lirica, e affida, quindi, la sua voce alla poesia. E la sua penna diventa il suo "navigatore" per ritrovare la giusta rotta, il suo megafono per gridare la verità:

 

“Sempre nelle mie scritture

ho cercato te con la mia penna.

Mi ha condotto di pagina in pagina

e con essa mi sono ritagliata la mia parte

cercando e gridando la mia verità”.

 

Versi di una bellezza e di una semplicità disarmante che vanno dritti al cuore! E finalmente, in tanta oscura disperazione, avanza l'aurora con i suoi “segnali, con la frantumazione della ragione senza ragione”. E ci accorgiamo che avevamo dimenticato il volto dell'Altro e l'Infinito nella pochezza della nostra finitudine e 

 

“...tutto è un desiderio di Te

senza Te.”

 

Ed è nel silenzio, non nel “fragore inutile” che ritroviamo noi stessi e la vera Voce:

“…Cogli questa carezza di silenzio

e sfiorala. Non lasciarla nel vuoto!

Ho paura che rimanga inespressa

e si macchi del livore di parole...”

 

Quanto tenero amore trasudano questi versi anche verso il fratello che si è smarrito. "Io sono qui, ti accarezzo; accetta questa mia silenziosa carezza; non voglio parlarti perché potrei usare parole errate; più delle parole, dirà questa mia carezza", sembrano sussurrare questi versi. Che benefica potenza sprigionano, tutta la potenza che può venire ad un uomo, in questo caso all'Autore, dal vero Amore, dall'Amore per eccellenza, dal Bene supremo!  

Ed è proprio a quel Dio, che l'uomo ha smarrito, che il Poeta chiede aiuto, che leva la sua accorata preghiera, esprimendosi ancora in poesia con una serie di similitudini significative e significanti:

 

“...Non lasciarmi al mio destino di naufrago

nel mare di guerre che riverberano violenze,

il desiderio di pace è fiamma che consuma

pane che sfama bocche prive di libertà

acqua che disseta deserti di malinconia.

Si posi la colomba,

sulla pietra sepolcrale d'ogni cuore!” 

 

E' nella delicatezza e contemporanea potenza dei suoi versi, la forza della poesia di Domenico Pisana! E' nelle splendide e pertinenti metafore che indicano il ritrovamento della giusta via. Infatti, così si esprime il folle, simbolo emblematico di questa smarrita umanità:

 

“... Il folle sussultò: la fiaccola ha ritrovato l'olio smarrito

ed è ritornata nuovamente la luce:

e ancora

“... La notte si consegnava all'alba...”

 

“.... Non salperò più 

di idea in idea 

ora che questa mia barca ha ritrovata la bussola 

della navigazione”.

 

“…La brezza leggera del mare 

profumata di sabbia

lentamente sfiora l'anima.

Raggomitoliamo anni d'irrazionalità”…

 

Quanta forza, quanta significazione in queste metafore ispirate dalla natura, espressione grandiosa di quel Dio che era stato smarrito!

Ma anche se gioiamo della rotta ritrovata, non dobbiamo abbassare la guardia, ci ammonisce l'Autore, ché il cammino della redenzione non è facile poiché il male, i falsi dei, le luci ingannevoli sono sempre in agguato:

 

“…Piantiamo nuovi semi nella terra arsa

l'acqua scioglie la neve sui monti

ma la notte ritorna come aquila

si aggira solitaria come il fiume

per tentare a mani basse le nostre debolezze...”

 

E sottolinea il Poeta: “La mia speranza è resistere agli agguati…”, 

e lo è anche la nostra perché la vita che conduciamo è un percorso dove le insidie sono subdole e ovunque presenti.  

“…E la speranza resiste alle molestie della notte…” se in noi custodiremo sufficiente olio per accendere la fiaccola che ci permetterà di seguire la vera Luce!

Ha molto da dire questa raccolta di Domenico Pisana, non solo al credente, turbato e incerto, ma  anche all'ateo, perché se la vera Luce per il credente è Dio, è pur vero che per l'ateo la luce può essere l'etica. La cura stilistica, la profonda conoscenza delle figure retoriche ed il loro sapiente uso rafforzano i concetti senza stancare il lettore e rendendo la lettura gradevole anche a chi non è avvezzo ad assaporare la poesia. 

 

Ester Cecere

 

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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