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I vezzeggiativi, i nomignoli, i diminutivi (ipocorici) esistono da sempre, almeno da queste parti. Quanti, nelle nostre famiglie, i Salvatore che diventano Turi, Turidu, Turuzzu, Totò, Tatò, Turù, Salvo (come il nostro direttore editoriale)… E quanti i Giovanni che neonati o novantenni sono Gianni, Giannuzzu, Vanni, Vanninu, Vannazzu, Nanni, Nannino. Non fanno eccezione le femmine. Le Concetta sono sempre state Tina, e poi Cettina (e Concita), e le Carmela Lina, Linuzza (Melina) e, le più originali: Carmen.

Io stesso sono Rosario all’anagrafe ma, fatta eccezione per la buon’anima di mia nonna che ci teneva (essendo stata per qualche anno in Nord Italia) a usare la lunga del continente, nessuno mi ha mai chiamato così. E con me tanti sono i Saro, Saruzzo, Saretto e Sasà.

Lunga premessa per dire che non mi scandalizza il fatto che oggi tutti i nostri ragazzi tra di loro usano di rado il nome completo ed originale.

Però qualcosa è cambiato. E nello specifico due cose soprattutto sono diverse rispetto al passato, anche prossimo. La prima: paradossalmente, è diventato più difficile vezzeggiare un nome proprio di quelli nostri, “tradizionali”. Accade per un semplice motivo: sono sempre meno – e parlo per la città di Ragusa, che ha per santo patrono il Battista nella parte alta e il Cavaliere nella oramai pochissimo abitata parte antica –, i Giovanni e le Giovanna, i Salvatore e le Salvatrice, i Carmelo e i Carmela (nome questo un tempo assai diffuso per via di una ampia e sentita devozione verso il culto del Monte Carmelo ed oggi praticamente scomparso), i Gaudenzio e le Gaudenzia, i Giorgio e le Giorgia.

La seconda: si sono diffusi, negli ultimi anni, meglio, decenni, tantissimi nomi lontani dalla nostra tradizione (che in fondo è la biblica). Quindi oggi, entrando in una classe elementare e leggendo l’appello, saranno, su un totale di venticinque alunni, pochissime le Maria (rose un paio), poche le Francesca, nessuna Petronilla (un tempo a Ibla le bambine con quel nome erano la metà del totale). Saranno tanti i nomi che potremmo definire “di ritorno” (ovvero nomi molto diffusi un tempo e poi scomparsi): Agnese, Anna, Sofia – per i maschi: Gabriele, Lorenzo, Mattia.

A loro si accompagneranno anche, in quella ipotetica classe della Elementare “Francesco Crispi”, i nomi cosiddetti “esotici”, ovvero importati da altrove, che nulla hanno a che spartire colla nostra (s’intende la iblea, ma vale anche per la italiana) tradizione: Jennifer, Katiuscia e Debora (con o senza /h/) — per i maschi: Kewin o Kevin. Ci sarebbero poi, in quella ipotetica classe alla “Ecce Homo” – per la cronaca, il correttore di word mi quando scrivo mi propone “Home” – anche pletore di nomi cosiddetti “inventati” e ovviamene tutti, tanti, nomi “derivati”: dai giocatori famosi, dagli altrettanto famosi cantanti, registi o attori, perfino dai cartoon.

Ma, per tornare ai vezzeggiativi, se è vero che esistono da sempre, è vero anche che oggi valgono solo se “inglesizzati”. Significa, molto semplicemente, far finire il nome con la lettera /y/, che poi foneticamente nulla diverge dalla normalissima /i/. ma, se quel nome vezzeggiato, accorciato, dev’essere scritto, allora sarà: Mary, Lory (vale per Lorella e Lorenzo/a), Gabry, Matty, Maty (sarebbe Matilde, un nome dalla bellezza enorme banalizzato dalla sua versione inglesizzata), Seby (il nobilissimo Sebastiano così ridotto…), l’ovvio Gionny (per i più colti sarà Johnny), e l’altrettanto ovvio Carmy per Carmela (ammesso che ancora ne esistano). Insomma e in breve, debbo dire grazie a mio nonno paterno (morto poco prima che io nascessi) e a mio padre che, in memoriam del padre, mi chiamò Rosario (e però mia madre, che in quanto femmina deve avere sempre l’ultima parola, aggiunse, essendo io nato a Maggio, anche “Maria”, nome che adesso porto orgogliosamente, ma che da ragazzino qualche problema lo creò). Perché ringrazio? Semplice: provate a chiamarmi Rosy (e partono le tumpulate*), oppure Sary (e partono le risate).

  

Saro Distefano

 

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* Traduzione a richiesta per i non siciliani :-) smile

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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