Ragusa e dintorni
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Ispica, 12 gennaio 2015 – Sul sagrato della chiesa di Sant’Antonio Abate, l’unica che resistette al terremoto dell’11 gennaio del 1693 che seminò distruzione e morte, ha avuto inizio ieri, con un picchetto d’onore seguito dalle note del “silenzio fuori ordinanza” intonate da Giuseppe Fronte, la commemorazione di quel devastante evento che distrusse l’antica Spaccaforno. 

I presenti si sono successivamente spostati in chiesa dove il  sindaco Piero Rustico e il celebrante don Giuseppe Agosta hanno deposto ai piedi dell’altare fiori e un cero in ricordo di quelle vittime, mentre dalla ‘Cava’ colpi a salve di cannone scandivano alla città l’ora precisa del tragico evento. Ha quindi avuto inizio la funzione religiosa introdotta dall’esecuzione delle due marce funebri della tradizione ispicese, ‘SS. Cristo alla colonna” e ‘SS. Cristo con la croce sulla via del Calvario”. 

La presenza di tanti cittadini, del presidente del Consiglio comunale Giuseppe Quarrella, degli amministratori Cesare Pellegrino, Teresa Amendoalgine e Paolo Mozzicato, del comandante della Polizia Municipale Lucia Roccuzzo e del Maggiore dell’Aeronautica Militare Giuseppe Canto ha evidenziato che, nonostante siano trascorsi più di tre secoli, nell’animo dei cittadini ispicesi è tanto sentito il bisogno di non dimenticare quell’evento che cambiò in modo tragico la fisionomia della città e la vita di coloro che sopravvissero e  che “da quel sacrificio, da quel dolore, da quell’immane tragedia, gli ispicesi e i siciliani seppero rinascere a nuova vita  - come ha ricordato il Sindaco - La ricostruzione allora, vera ed efficace, non contò solo su logiche ingegneristiche, si basò principalmente sulla ricerca di un’anima, munita di intelligenza che seppe ideare l’avvenire … I nostri nonni, i pochi sopravvissuti, guardarono ad un progetto molto più grande, e Spaccaforno rinacque più forte e più bella di prima dove “l’Io” divenne “Noi”, capace di pensare al plurale e proteso, con tenacia, verso il bene comune”. 

Nel suo intervento, il sindaco ha rivolto il pensiero alla nostra comunità sottolineando che: “Il nostro dovere oggi deve e vuole essere quello di una convinta riconoscenza e gratitudine versò chi pensò a noi. Lo dobbiamo ai nostri avi per mostrarci degni e capaci di meritare e custodire il bene ricevuto, per consegnarlo alle future generazioni sempre pulsante e capace di crescere … A questi grandi gesti vogliamo “guardare” e a loro ispirarci per percorrere le vie del dialogo, del confronto sincero, ponderato e rispettoso del proprio passato fatto di voglia di vivere e di crescere … Ispica oggi deve imparare con orgoglio dall’insegnamento di chi ci ha dimostrato con le opere cosa sono in grado di generare la condivisione e la collaborazione, capaci di soffocare la rabbia e il dolore insegnando che non sono le urla a dare ragione di una verità, bensì il dialogo e l’operosità tra chi con i fatti sa indicare qual è la via maestra da percorrere”.

Animata da questi sentimenti, terminata la Santa Messa, tutta la gente presente, riunita in corteo, si è mossa verso il suggestivo affaccio sul Parco Forza e sulla porzione di Cava Ispica che si trova dietro la chiesa di Sant’Antonio. Qui il celebrante ha recitato la preghiera di suffragio e impartita la benedizione in memoria delle vittime, mentre gli amministratori hanno affidato al vuoto sottostante “i fiori che vogliono significare l’omaggio della Città per i nostri avi che in questi luoghi perirono”.

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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