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#Ragusa, 10 febbraio 2016 –Le cosiddette “prove antisismiche” sono uno dei ricordi che mi vengono in mente quando ripenso alla seconda elementare. Si tratta di piccole esercitazioni che servono per comprendere come comportarsi in caso di emergenza sismica.

A quell’età, le prove di evacuazione dello stabile, più che un dovere, rappresentava un divertimento, in quanto si evitava di ascoltare la maestra e le solite storie su Sumeri e Babilonesi (e qui ci sarebbe bisogno di aprire una grandissima parentesi che in questo momento non è bene aprire).

 

Come funzionano le prove antisismiche, almeno com’erano ai miei tempi…

In caso di una prima scossa, la bidella aveva l’incarico di far suonare la campanella per tre volte. Noi, sentendola, dovevamo effettuare le seguenti azioni: metterci sotto il banco; contare mentalmente quindici secondi; uscire dal banco, prendere per mano gli altri compagni e dirigersi pian pianino verso l’uscita della scuola.

La bidella, invece, aveva altre incombenze: aspettare che la scuola si svuotasse; controllare ogni singola aula per verificare che effettivamente tutti fossero usciti, e, infine, con calma, uscire dall’istituto.

Tutto rigorosamente con calma! 

Nel corso degli anni mi è capitato di ripensare alle prove antisismiche.

 

A distanza di quindici anni dalla seconda elementare, mi è capitato di trovarmi in una situazione in cui c’era veramente una scossa di terremoto. E ho infranto tutto quello che avevo imparato precedentemente, in particolar modo il prezioso suggerimento di fare tutto “con calma”.

Ieri, giorno otto febbraio 2016, dopo sei scosse lievi dei giorni precedenti, si è verificata l’ennesima scossa, un po’ più forte. Comunque è sembrata diversa dalle altre.

Erano le 16.30 circa. Mentre sottolineavo il mio bel libro di Diritto penale, la sedia iniziò a tremare... Anche la stufa ha iniziato a tremare… e poi anche il televisore e anche il lampadario. E poi, pure io, beh…

In teoria avrei dovuto: innanzi tutto, non farmi prendere dal panico. Poi mettermi sotto la trave della porta o sotto il tavolo e aspettare “tranquillamente” che la terra riprendesse il suo stato normale, silenzioso e quieto.

In pratica ecco cosa ho fatto: mi sono alzata di botto dalla sedia urlando a squarciagola “Oddio il terremoto!” o qualcosa di simile. L’ansia, col suo faccino sbilenco, quasi carnevalesco, mi si parò davanti, insieme ad una grande paura che potesse succedere qualcosa di irreparabile.

Dopo quella manciata di interminabili secondi caratterizzati di tremore, rimasi ferma, al centro della stanza, a guardare il vuoto. Così, come se fossi imbambolata. 

Non sono riuscita a far niente in quel momento. Ero come pietrificata.

La fase di shock fu spezzata dal telefono che iniziò a squillare. Era il mio nonnino. Anche lui aveva percepito la scossa. Il mio nonnino è molto grande. Ha superato le novantatre primavere. 

Per la cronaca, si è trattato di una scossa, magnitudo 4.2, nel Ragusano e dintorni.

Per tutta la sera si sono verificate altre piccole scosse, di minore entità.

Non nascondo che la notte l’ho trascorsa con un occhio aperto e uno, forse, chiuso, avendo la consapevolezza che è la Natura che comanda.

La Natura che, a volte, si ribella all’operato dell’uomo.

Però, Natura, te ne prego, abbi pietà di noi. Amen.

Adesso posso riprendere a studiare…

 

Lucia Nativo

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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