Cosi nuvelli

Cultura
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  • Argomento: Scuola, Pedagogia, Letteratura

Malgrado una gestione staccata dalle masse popolari, l’Italietta post-risorgimentale ebbe il merito di ridurre gradualmente il tasso di analfabetismo che era all’80%.

Dopo la legge Casati del 1859, estesa un anno dopo a tutto il territorio nazionale, intervenne quella sull’istruzione obbligatoria voluta da Michele Coppino, il Ministro che al governo dell'Istruzione Pubblica impresse un impulso di durevole efficacia, reggendolo per oltre sette anni. Il programma di scolarizzazione, sancito dalla legge del 15 luglio 1877 che coronò un prolungato sforzo, fu una grande operazione di pedagogia politica orientata alla liberazione dall'ignoranza e dalla devozione superstiziosa.

I principi fondamentali, che rappresentarono un chiaro segno di cambiamento, furono l’obbligatorietà dell’istruzione elementare inferiore, la gratuità, l’aconfessionalità. Oltre ad imparare a leggere, a scrivere e a far di conto, gli alunni dovevano apprendere l’educazione civica ed elementi di materie scientifiche con una metodologia operativa d’insegnamento. Distinguendosi per equilibrio e lungimiranza, Coppino provvide al riordinamento degli Statuti di numerose Università, gettò le basi dell'istruzione professionale moderna, fu artefice delle fortune dei licei classici. Sulla tematica, il quadro tracciato da Gaetano Bonetta è dettagliato per ricchezza di documentazione[1]. Scarsa l’operatività dei Comuni cui era stato demandato il carico finanziario per sostenere l’impegno contro l’analfabetismo; precaria, perciò, restava la scolarizzazione delle classi popolari.

Nel frattempo, aristocratici e borghesi si aprivano al fascino della cultura nel clima del Positivismo. A Ragusa nacquero valenti tipografie che si imposero all’attenzione per la funzione editoriale specialmente avviata dagli anni Settanta-Ottanta: stampando raffinate pubblicazioni di libri e riviste si guadagnavano la fiducia dei committenti locali e non. Furono fondati circoli e accademie anche con intenti filantropici e si aprirono prospettive altre grazie a riviste locali diffuse fuori della micro-area. Furono i tempi di una fiorente stagione per le diversificate attività culturali rispondenti ai nuovi bisogni di una comunità in crescita.

Parliamo del periodico “La Scintilla”, sottotitolata “Rivista di letteratura e pedagogia” che, edita dalla tipografia Piccitto&Antoci a partire dal primo settembre al 1876 fino al 1883, fu diretta da Giuseppe Scala, professore d’italiano in un istituto tecnico di Avola. Il programma, esposto nel primo numero, privilegiava argomenti di letteratura, problemi d’istruzione, insegnamenti morali. Per esempio, Callisto del Pino illustrava a mo’ di racconto i suoi proverbi toscani. Era insomma il «farsi degli italiani», secondo la ben nota espressione del D’Azeglio le cui massime venivano riportate nella rivista, a costituire l’ideale educativo attorno a cui lavoravano collaboratori di altre regioni. Si può dire che stesse maturando l’esigenza di tenere rapporti oltre la ristretta vita di provincia attraverso la ricerca di collegamenti coi più importanti centri universitari. Chiaro l’intento dei ragusani: far conoscere l’identità del proprio territorio.

Siamo nel momento più concreto segnato da una peculiarità: l’avere avvertito la funzione del documento per la corretta informazione su aspetti della storia locale. Raffaele Solarino ricostruiva a puntate la biografia su Gian Battista Hodierna, mentre il barone Paolo La Rocca Impellizzeri si occupava del poeta dialettale Giovan Battista Marini (1807-1874), nonché della tutela della necropoli di Kamarina, unitamente alla rappresentazione poetica di Psaumide Camarinense[2].

Vale la pena di accennare al Marini: personaggio che riuscì ad imporsi sui pesanti condizionamenti socio-economici anche in virtù dell’aiuto ricevuto dalla nobile famiglia La Rocca. E va detto che egli si distingueva come valente poeta con la raccolta “Lirichi Siciliani” (1855). Questo l’aspetto che più attraeva l’aristocratico La Rocca: l’espressività mostrata nelle canzoni d’amore unitamente alla raffinata competenza che consentiva al poeta di tradurre in versi siciliani quelli di Lord Byron[3]. Non meno interessanti gli articoli di Raffaele Solarino sulla diffusione di conoscenze igieniche, particolarmente avvertita per la sua professione di medico: colto e realistico il linguaggio cui faceva ricorso per intessere vivaci e incisive narrazioni animate da dialoghi istruttivi. Prevalente nei suoi scritti la campagna ragusana per inquadrare alla maniera delle parabole le lezioni d’igiene dell’alimentazione.

Sul piano dell’istruzione popolare soltanto ai primi del Novecento si assistette ad una svolta dovuta ad un più incisivo intervento governativo: dalla legge Orlando del 1904 alla legge Daneo Credaro del 1911 lo Stato, alleggerendo il peso dell’erario comunale, definitivamente si assumeva gli oneri finanziari. Magnifica può dirsi l’operazione portata avanti da Giuseppe Lombardo Radice (Catania 1879 – Cortina d’Ampezzo 1938). Docente di pedagogia all’Università di Catania (1911-1922), rivitalizzò contenuti e metodi dell’insegnamento primario, avendo in mente la sua riforma della scuola resa nota nella rivista “Educazione Nazionale”, apparsa nel 1919[4]. Dal suo celebre testo “Lezioni di didattica e ricordi di esperienza magistrale” (prima edizione 1912), agilmente si ricavano i principi fondamentali dell’opera educativa: per esempio, l’individualizzazione operosa in netto contrasto con l’omologazione su basi verbalistiche che ignorava le differenze individuali, i vissuti esperienziali degli alunni e il rispetto del dialetto in un contesto dialogante tale da facilitare il graduale passaggio alla lingua. Specificamente i contenuti, che traevano ispirazione dall’energia creativa della poesia, valorizzavano il canto (popolare, religioso, patriottico), le narrazioni fiabesche, la fruizione della bellezza.

La scuola operosa da lui portata avanti ebbe a Ragusa validissimi interpreti che diedero vita all’antologia “Li cosi nuvelli” (in tre volumetti: per la terza, la quarta e la quinta classe elementare), pubblicata nel 1924 dall’editore Bemporad di Firenze. Due gli autori che hanno pure curato la prefazione a ciascun libro[5]: Giovanni Antonio Di Giacomo, futuro Provveditore agli Studi (all’inizio del 1944 e per oltre un anno), insieme con Luciano Nicastro, entrambi già uniti da intese amicali e culturali[6].

Specificamente si muovevano entro il versante delle scelte bilinguistiche, giacché per loro il dialetto, del tipo di koiné, era una irrinunciabile esigenza. Ecco alcune esemplificazioni della loro antologia che, ponendo a fondamento la creatività immaginativa della poesia, si proponeva la tutela della cultura locale e regionale: proverbi, novelline e racconti brevi con essenziali glossari, disegni e poesie – privilegiate quelle del Meli e di Domenico Tempio -, brani del Verga in dialetto. Essenziali le note grammaticali e utilissimo il “vocabilarietto”.

Forse oggi qualcuno potrebbe rinvenirvi un’idea di scuola georgica e rurale, ma quelli erano i bisogni del tempo da soddisfare. Merito di Giorgio Flaccavento[7] è l’essersi anche soffermato su altre antologie di Vann’Antò: «Dal 1930 l’uomo di scuola attraversa un periodo di feconda attività facendo seguire alla bella antologia italiana “Terra e cielo” i commenti ai poemi omerici ed all’Eneide. Nel 1941 in collaborazione con Luca Pignato, giunto a Messina quale Provveditore agli studi, dà alle stampe “Arione”, un’antologia italiana per le scuole medie che è un piccolo capolavoro di freschezza e originalità; nel 1942 pubblica un’antologia Omerico-virgiliana ed una rivoluzionaria e “poetica Analisi logica»[8].

In tale panorama, Vann’Antò anche nelle sue ricerche erudite, filtrandole e organizzandole secondo la sua ottica letteraria, ha manifestato la sua anima poetica, raggiungendo sorprendenti esiti artistici[9].

 

Federico Guastella

 

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[1] G. Bonetta, “Istruzione e società nella Sicilia dell’Ottocento”, Sellerio, Palermo 1984.

[2] Psaumida, figlio di Acrone, nacque a Kamarina all'inizio del VI secolo a.C. Divenne celebre nel 452 a.C. quando vinse tre gare dei giochi di Olimpia, tra cui la più ambita quella con la quadriga. Tra le 11 Olimpiche, scritte da Pindaro, due sono dedicate a Psaumidaː l'Olimpica IV “A Psaumida di Kamarina vincitore con i cavalli” e l'Olimpica V “Allo stesso Psaumida vincitore colla quadriga, col carro da mule e nella gara del corsiero”. Nell’ “Olimpica” IV, 1-11, trad. A. D'Andria, Pindaro salutò così l'atleta:

«O supremo vibratore del tuono dal piede infaticabile,
o Zeus, le tue Ore mandano me
testimone degli altissimi Giochi
col canto di varia cetra:
e se felicemente operano gli amici,
al dolce annunzio si rallegrano i buoni.
Ma tu, Cronide, che abiti l'Etna,
peso ventoso del forte Tifone cento teste,
accogli a nome delle Grazie
quest'inno di olimpica vittoriaǃ»

[3] G. Cosentini, Sopravvivenze byroniane nella cultura del sec. scorso, “Pagine dal Sud”, Ragusa, Novembre-Dicembre 1987, Anno III – N. 5-6. Ne citiamo un passo che dei due mostra le doti poetiche: “L’esperienza di poeta dialettale del Marini, già sperimentata nelle molte poesie in vernacolo, aveva realizzato un felice connubio tra la letterarietà e la essenza semantica e così si inseriva nella grande tradizione del genere letterario consacrato dall’abate Meli. Nella scia dei poeti che amarono Byron e divennero interpreti siculi della poesia dello “spleen”, ricordiamo pur Paolo La Rocca Impellizzeri, scrittore ed amministratore civico, che volle imitare il bardo inglese per quanto riguarda il sacrificio personale per la libertà. La Rocca si batté per il miglioramento della sua Ragusa e non si fermò dinanzi a nessuno ostacolo, e quindi il modello migliore restava sempre Lord Byron”.

[4] R. Mazzetti, “Giuseppe Lombardo Radice tra l’idealismo pedagogico e Maria Montessori”, Malipiero, Bologna 1958.

[5] Ristampato a cura del Centro Studi “Feliciano Rossitto con un saggio introduttivo di Vincenzo Orioles, nell’ambito delle manifestazioni collaterali alla quindicesima edizione del premio di poesia dialettale

[6]Degna di essere menzionata il dramma pastorale in un atto “U frischittulu”, scritto congiuntamente nel 1914 e pubblicato dalla casa edtrice Pungitopo di Marina di Patti. Vann’Antò e Nicastro si ispirarono alla favola Lu re di Napoli, pubblicata da Giuseppe Pitrè e inserita da Italo Calvino nelle Fiabe italiane (1956). Approfondita l’analisi di Umberto Migliorisi nello scritto Un dramma pastorale inedito, in “Atti del Convegno Regionale di Studi, Ragusa 23-24 aprile 1987”, promosso dal Centro Studi Feliciano Rossitto, Ragusa, 1988. 

[7] G. Flaccavento, “Vann’Antò e la scuola”, in “Atti del Convegno Regionale di Studi, Ragusa 23-24 aprile 1987”, op. cit.  

[8] Ivi

[9] A. Fragale, “Vann’Antò tra letteratura e popolo”, in “Atti del Convegno Regionale di Studi, Ragusa 23-24 aprile 1987”, op. cit.

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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