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  • Autore: Giovanni Occhipinti
  • Editore: Bonaccorso

 

Un libro, si sa, può scardinare un impero,

può forzare le porte di ferro d’una coscienza 

per introdurvi un seme d’amore, 

di bellezza e di verità

G. Bufalino 1991

 

 

Non aveva nome, lo chiamavano Tu. E veniva da una contrada sperduta del mondo, non si sapeva quale. Si mormorava che avesse attraversato il Mediterraneo. Voce di popolo sussurrava che Tu potesse arrampicarsi sulle nuvole per facoltà misteriose e risalire il cielo, cavalcando le correnti ascensionali dei venti; e tante altre cose di lui si mormoravano: che leggesse nel pensiero dei trapassati e che parlasse con l’aria che respirava e con l’acqua e i colori e le pietre. E intrecciasse duetti con un’eco lontana, che si levava dalle campagne sul mare o dalle dune o dalla Macchia Mediterranea, già rifugio ai disperati e ai diseredati della terra, quando nottetempo sbarcavano sulla spiaggia. O vi giungevano a nuoto, superstiti di naufragi o scacciati da malvagi scafisti, famelici come lupi siberiani. (G. Occhipinti 2017)

Così recita l’incipit dell’originale e intenso romanzo, dal titolo Mare con mare (Bonaccorso editore 2017), di Giovanni Occhipinti, poeta, scrittore, critico letterario e saggista a respiro nazionale. 

Siccome l’autore ha scelto Pozzallo per la prima presentazione del suo romanzo, la lettura dell’incipit mi è sembrata consona a porgere il mio saluto, prima di iniziare alcune riflessioni. Intanto sento di esprimere allo scrittore, corifeo della terra iblea, la mia sentita gratitudine e, soffermandomi sul titolo che delega alla preposizione Con la mediazione dell’emblematico ponte tra mare e mare, desidero confidare che sono stata letteralmente presa dalla creazione letteraria che affascina, sorprende e coinvolge per la tensione etico-cosmica dell’umano essere al mondo. 

Anche l’immagine di copertina del fotografo Massimo Assenza, autore dell’apprezzata mostra Sbarchi, introduce, per consanguinea associazione al vissuto del migrante, il racconto dell’uomo del vento: il volto coperto, il corpo raggomitolato e la nudità dei piedi narrano le ferite culturali ed esistenziali simbolicamente inanellate nello sfondo, catena ferrea e babelica siepe che ci fa testimoni oculari del tempo.  

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La favola dell’uomo e del vento, straordinaria tessitura narrativa, mi ha evocato l’immagine nitida dei cerchi concentrici del Mare, cerchi prodotti da una pietra raccolta dalla Terra e lanciata attraverso il Cielo. Tre mondi Terra - Mare - Cielo in cui Tu, il protagonista nato dalla feconda immaginazione di Giovanni Occhipinti, dissemina incontri reali e immaginari, interpellando con domande ancora aperte la nostra coscienza civica, religiosa e sociale. Lo stesso rapporto con il tempo, fondato su costellazioni di “ricordi” e su “figure” dotate di un’aura magica, è alimentato dalle ardite e originali proiezioni che promanano dai paesaggi costieri.

Il litorale ibleo, con le sue dune di sabbia, con i suoi calcarei sarcofagi, con le sue torri costiere, con le sue serre di plastica nociva, con le sue processioni e ancora la mediterranea Pozzallo con i suoi pescatori e con il rito degli sbarchi assurgono a comprimari, grazie all’intensità creativa ed espressiva dell’autore. Egli porta con sé storia e storie, favole e sogni, filtrati con grande perizia dalla potenza della parola: le ripetute assonanze, le frequenti allitterazioni, le anaforiche voci verbali ricalcano ora il moto ondoso delle emozioni ora le risacche rigurgitanti dolori e lacerazioni. Naufragi, come metafora dei fallimenti, e voli, come metafora del mistero dell’anima, diventano tracce determinanti suono e senso che, convibrando, riconfermano l’inconfondibile stile poetico e stilistico di Giovanni Occhipinti, che proprio con tale romanzo, ancora inedito, è stato finalista al Premio letterario Neri Pozza 2013.

Incisive e memorabili si rivelano pure le proiezioni emotive e affettive impersonate dalla vecchietta, ricordo della madre che Tu rimpiange e dalla voce di Eco, invisibile compagna e amica delle peregrinazioni terrene e dei voli azzurri di Tu. Sospeso tra mare e cielo, tra realtà e sogno, tra dubbi e domande,Tu, cercava di ascoltare perfino i sussurri del Tempo - narra splendidamente l’autore- Quali suoni avevano i suoi sussurri? Pensava che se avesse potuto parlargli, al Tempo di tutti i tempi, avrebbe chiesto per prima cosa notizie certe su Dio e come bisogna agire per farsi ascoltare e essere certo che ciò che sentiva nel cuore di dirgli fosse quello che Lui voleva ascoltare. Però neanche il Tempo era visibile ai suoi occhi e non aveva parole per parlare agli uomini, un po' come Lui, il Signore Iddio.

  

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L’intreccio narrativo motiva letterariamente la genesi del protagonista, ritratto nelle sue particolarità fisiognomiche e avvolto dall’aura delle sue magiche facoltà, che la tradizione orale ha mutuato con numerose varianti affastellatesi di generazione in generazione. Da qui gemmano le vicende quotidiane, i pensieri, i desideri di un eccezionale personaggio che incarna smarrimenti e speranze in sintonia con il nostro acciaccato mondo. 

L’idea del nome Tu, pronome che presuppone Io e perciò la dualità che trova pienezza solamente nella dimensione dialogante e relazionale, diventa sicuro indizio della poetica, sottesa alla parabola favolistica e immersa sapientemente nel quotidiano operare di Tu. 

Misterioso e straordinario Tu incarna il sogno del volo e s’invola nell’infinito dell’infinito, dove intuisce la presenza di Lui - Dio, e vaga da sponda a sponda rimescolando le plurali sfide della vita e della morte nel segno dell’umana com-prensione del volto dell’altro. Nella terra ferita da sopraffazioni e marginalità, Tu si spende in bontà e aiuti, riciclando e recuperando il superfluo e lo spreco di una lunga catena di potenti e prepotenti; nel mare rivive i naufragi e rimette alle correnti marine la custodia del sangue, salmastro memoriale di volti e corpi animati dal desiderio dell’approdo; nel cielo mendica la voce di Dio, silente ma irradiante una luce diversa inimmaginabile, una luce che contenesse tutti i colori.  

Tu, mendicante del cielo - per dirlo con Maritain - attraversa i colori del tempo e nell’assecondare la signoria del vento, soffio libero e vitale, intona il canto dell’umana fratellanza. Non più grido di dolore ma canto di liberazione, polifonia poetica che attraversa terra, mare, cielo per tramutarsi in pluriverso orante.

Nei capitoli si susseguono immagini e parole, si avvicendano metafore, allusioni, associazioni visive e sonore, capaci di dilatare le interpretazioni di carattere letterario e storico, cui rimanda l’autore con la sua mirabile favola, sapiente visione dell’umanità in fuga, ma comunque in cammino verso la fioritura della fede nel Dio che si è fatto carne dell’uomo. 

 

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Giovanni Occhipinti, con un linguaggio di grande suggestione, affronta una problematica di assillante attualità e dipana il nodo storico-culturale col quale dobbiamo misurarci. Non con la logica dell’uomo corrotto e dominatore ma con l’abbraccio alla Croce. Non come atto di pietismo ma come testimonianza di autentica umanità. Maestoso è l’epilogo del romanzo. Il mare nostrum, attraversato nel corso dei secoli da Dio e dagli uomini, custodisce i semi di fiori offerti da Tu al Dio nascosto come testimonianza dell’incessante ricerca del respiro relazionale, contrassegnato simbolicamente dalla grande Croce di pietra ai piedi della quale lo stesso Tu si adagia per involarsi, probabilmente unendosi alla schiera alata dei gabbiani, spirito dei morti in mare, come vuole la credenza popolare dei marinai.

Interprete della straordinaria confluenza di poesia e preghiera - i due pilastri della civiltà come esortava, a suo tempo, il pozzallese Giorgio La Pira - dalle stesse sponde mediterranee Giovanni Occhipinti crea l’impareggiabile poetica favolistica che s’innesca nella realtà. Per tale ragione è necessario cedergli la parola: Cosa dovrei fare -, gridò, cantò, recitò Tu - dimenticarti? fingere che non ci sei? Fingere che non esisto? […] poi pianse e poi volle ancora parlargli, cantando; e poi ancora gli parlò, pregando. Una lunga preghiera che conteneva la luce delle stelle e il buio della notte; i bagliori del sole e i colori dell'alba e dell'aurora e la distesa pacifica e solenne dei mari e il suono dei venti e il canto della terra e dei mondi. E si udiva l'eco di questa preghiera. E la preghiera era un coro. E la preghiera era un inno solenne all'amore. E si levava lentamente, la preghiera, come un dono. Si levava come un dono a Dio, la preghiera.

 

Grazia Dormiente 

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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