Nuvole a Naxos (ph salvomic / Biancavela Press)

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  • Rubrica: Modi di dire

Ragusa, 29 ottobre 2021 — Nei giorni ottobrini di forte maltempo m’è venuta in mente una frase tipicamente iblea, in dialetto ibleo (non posso escludere che possa essere utilizzata anche altrove, con altri dialetti ma con uguale significato).

 È un modo di dire ibleo che ha avuto ed ha vita particolare. Si tratta della perifrasi «u tiempu nunn’è iddu», con la gemella, ma molto meno utilizzata e solo in precise circostanze, «u mari nun’è iddu».

La traduzione letterale nella lingua di Mike Bongiorno è chiarissima: «Il tempo non è lui» e quindi anche «il mare non è lui».

La traduzione letteraria, come sovente accade in casi come questo, è cosa assai diversa, complessa, sottile, difficile da rendere appieno. Ci provo.

Quando si dice “u tiempu nun’è iddu”? Spesso ma non spessissimo, fondamentalmente quando si vuole sintetizzare al massimo un concetto del tipo: «viviamo tempi difficili, fede, gerarchie, speranze, principi e concetti sono molto variati quando non ribaltati», oppure, molto più semplicemente, «il tempo – s’intende anche il meteorologico – è in fase di variazione, di cambiamento; e non sempre al meglio, anzi».

Assai più interessante la variante collegata all’elemento liquido. Il mare non è più lui lo si dice quando, davanti a bambini che non vogliono interrompere il loro bagno nell’acqua salata, la mamma (ma anche la nonna o la zia) si esibisce nella raccomandazione, urlata e con tono assai minaccioso: «esci che il mare non è più lui». E si capisce la preoccupazione dell’adulto: sei in acqua da ore, ti stai certamente divertendo, ma non dobbiamo esagerare.

Eppure, e io non ne comprendo le ragioni, tra le migliaia di frasi, modi di dire, mottetti e indovinelli siciliani, solo pochi, pochissimi sono quelli che, in una improbabile quanto sovente inutile traduzione nella lingua di Piero Angela diventano divertenti. S’intende: che fanno ridere. Proprio così.

Nella grande spiaggia di Mazzarelli tra luglio e agosto ci sarà sempre il bambino che sguazza e la mamma che grida «esci che il mare non è più lui». Perché farà ridere i vicini sperti che prenderanno in giro la popolana esibitasi in una traduzione, ribadisco, improbabile quanto inutile? Perché, quello stesso “radical chic” – l’ha ripescato dalla preistoria il simpatico ministro dell’ecologia e quindi possiamo utilizzarlo tutti – non ride quando qualcuno dirà «un pane meno due mezzi», o quando un celebre intellettuale locale scriverà su Facebook “avvolte” per dire “ogni tanto”?

Misteri eleusini, anzi mazzariddari (ma in tempi “ri maluttièmpu”).

 

Saro Distefano

 

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* "c'appìzza" non è facile da tradurre: più o meno "ci perde"...

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry