Cultura
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  • Argomento: Fotografia

Appena sedicenne, invece di fare il pittore aveva sperimentato i suoi interessi visivi nello studio del fotografo Antoci. Via via una vicenda così ricca di ricerche l’ha reso famoso oltre i confini isolani. Tante le volte in cui ragazzo, passando per Corso Vittorio Veneto dov’è il suo studio, mi soffermavo a contemplare le fotografie di matrimoni mostrate in vetrina. Avevano l’eleganza dell’ombra e della luce, suscitavano sogni.

Ho poi gustato il suo sguardo sparviero nei libri d’autore. Reinventano la realtà le immagini di Giuseppe Leone in un armonioso rapporto di visioni e di sguardi introspettivi che evocano un tempo senza tempo. A partire dall’opera La contea di Modica (stampata per conto dell’Electa Editrice dalla Fantonigrafica di Venezia nel 1983), intendo ora svolgere l’intervento.

Affabulante il discorso introduttivo di Sciascia integrato armoniosamente dalle 116 fotografie, in bianco e nero e a colori, di questo nostro espertissimo fotografo. Furono scattate dalla metà negli anni Cinquanta e riprendono aspetti suggestivi del paesaggio ibleo. Pluripremiato[1], ha esposto in diverse città d’Italia: dalla campagna cosparsa di carrubi agli squarci cittadini, a uomini e bambini dediti anche ai loro passatempi. Due immagini sono familiari, chiamano in causa perché esprimono la memoria di Chiaramonte Gulfi nella quale si mescolano flussi ancestrali: in una il bimbo che gioca a palla tra il portale chiaramontano e la scalinata per San Giovanni; nell’altra gruppi di ragazzini che su quel piano eseguono il gioco, solo per i maschietti, dello Scinni e ncravacca (Scendi e salta sul groppone, e ‘ncravacca o accràvaccasi diceva per indicare il montare a cavallo della mula, bestia umiliata da insistenti percosse, vittima sacrificale indispensabile alla vita d’allora). L’obiettivo li coglie in salti di indubbia abilità: uno di loro poggia le mani sul dorso dell’ultimo della fila e si porta a cavalcioni di quelli che seguono e stanno sotto. Con Giuseppe Leone l’area degli Iblei si inserisce nel rapporto letteratura-fotografia, nella relazione fra testo e immagine. Oltre a destare maggiore interesse alla lettura, i due linguaggi danno informazioni aggiuntive: “civiltà dell’immagine” e “civiltà della parola” aprono così nuovi orizzonti alla conoscenza.

Il testo narrativo precede l’apparato iconografico, cioè il racconto per immagini: a volte le fotografie recano un titolo, altre volte lasciano al lettore la possibilità di darselo. Due, dunque, modalità di lettura del territorio: la scrittura e la fotografia, che messe insieme, incrementano anche un’emozionalità visionaria. Aveva già mostrato padronanza, illustrando il volume di Mario Giorgianni – introdotto da Rosario Assunto - La pietra vissuta (Sellerio, 1978). Gli amabili scatti custodiscono il patrimonio della cultura rurale che gravita nell’ambito della grande masseria e della piccola casa contadina, asse nevralgico dell’economia ragusana. Furono i campi chiusi, visti dai Borboni come modello per l’agricoltura siciliana, a favorire la rotazione agraria con il conseguente passaggio dalla produzione cerealicola alla leguminosa che notevolmente influì sullo sviluppo della zootecnia. “Paesaggio rurale barocco” quello dei muretti a secco che lo ricamano. La definizione di Mario Giorgianni illumina su un quadro sostanzialmente nuovo, dove l’architettura contadina è l’esito del protagonismo della campagna, affermatosi con la classe dei massari, piccoli proprietari e affittuari, da cui prese corpo la nobiltà minore. Vennero così fuori uomini nuovi, tra cui commercianti, sensali, carrettieri, mentre nelle fiere si esprimevano speranze ed energie. Ed è in quest’ottica, che Balsamo, viaggiando per la Contea di Modica[2], fa comprendere la netta differenza tra il latifondo pressoché incolto di gran parte della Sicilia e il frazionamento della proprietà nella Contea di Modica che nel contesto isolano ha avuto la propria inconfondibile specificità.

L’occhio indagatore di Giuseppe Leone ha colto interni ed esterni e ha messo in evidenza il fascino di chiaroscuri animati da una energia che prontamente si trasferisce nel cuore e nella mente dell’osservatore-lettore. A guidarlo era stato l’etno-antropologo Antonino Uccello che, studioso di Guastella più volte citato nei suoi libri, aveva instancabilmente raccolto nelle campagne i reperti materiali della civiltà dei padri, custodendoli nella casa museo di Palazzolo Acreide, cittadina barocca del siracusano. Non a caso egli ha esordito ha esordito illustrandogli il volume La civiltà del legno in Sicilia (1972). Siamo tra gli anni Sessanta e Settanta quando Leone andava di paese in paese per fissare i momenti più salienti della comunità coi suoi personaggi e coi suoi usi e costumi. A Palermo, la casa editrice Sellerio è il luogo privilegiato per gli incontri. Egli così può familiarizzare con Sciascia (incontrato per la prima volta nel 1977), con Bufalino, con Matteo Collura, per citare appena alcuni nomi. Difatti, le sue fotografie raccontano la storia dell’amicizia fra costoro e fanno da supporto alle loro pubblicazioni. Della sua arte lo scrittore di Comiso parlerà nello scritto una Kodak per Faust nell’opera Cere perse (Palermo, Sellerio, “La diagonale”, 1985), a proposito del volume La Contea di Modica: «Evidentemente il fotografo (che con questa e le sue opere precedenti si aggiunge ai maestri dell’odierna fotografia siciliana, da Sellerio a Scianna) ha compiuto una scelta di cui non lo ringrazieremo abbastanza, essendo la sua testimonianza complementare alle altre, e insieme a queste necessaria per chi pretenda un’esauriente idea storica e umana dell’isola».

Anche con Vincenzo Consolo, che si abbevera di malinconia, ha collaborato: degna di nota l’opera Il barocco in Sicilia (Bompiani, 1991), dove l’argomento centrale è dato dall’evento sismico del 1693 e dalla successiva ricostruzione dei luoghi devastati della Sicilia sud-orientale. Memorabili i suoi fulminei fotogrammi: c’è un tuffo nel passato in un progetto di bellezza architettonica e umana. Vengono in mente palazzi e chiese, nonché donne vestite a nero, anziane, bambini, sacerdoti e suore, confraternite in processione, emigranti. Siamo nella città-teatro di Bufalino, le cui strade esprimono un’immobile solitudine, i giochi, le feste assiepate di gente vociante e festosa. Nella sua “bottega” si trovano più di 500 mila scatti e sono sessanta i fotolibri recanti i testi dei migliori scrittori della letteratura del Novecento. Ne ricordo alcuni oltre a quelli citati: Invenzione di una prefettura. Le tempere di Duilio Cambellotti nel Palazzo del Governo di Ragusa di Sciascia-Leone (1987); L’isola nuda. Aspetti del paesaggio siciliano di Bufalino-Leone (1990)[3]; L’isola dei Siciliani(1995) di Mormino-Leone; Feste e culti religiosi in Sicilia (1997) di Mormino-Leone (le cui immagini sono a colori); La musica degli Iblei dalla contea alla provincia di Collura-Leone (2001); Il matrimonio in Sicilia (2003)[4]; Immaginario barocco (2006)[5]; Un viaggio lungo mezzo secolo di Buttitta-Leone (2008)[6]  ;  Leonardo Sciascia dalla Sicilia alla Spagna (2009) di Guccione-Leone[7]. E ho ancora nelle orecchie la sua voce cortese nel raccontare il rapporto tra lui e Sciascia, Bufalino e Consolo nel libro Storia di un’amicizia (2015), curato da Giuseppe Prode.

Informazioni dettagliate offre Concetto Prestifilippo nell’articolo Leone di Sicilia, epopea di un’isola i 500 mila scatti, apparso su «L’Espresso» del 29.6.2021. Poiché i fatti di cui non si parla, diceva Stuart Mill, restano muti, vale la pena di accennare a riferimenti di rilievo: il primo suo celebre scatto che mostra un treno, i cui vagoni sembrano minuscoli rispetto all’ampiezza del paesaggio, sul ponte della vallata San Leonardo, e Ragusa Ibla sullo sfondo; la recente esposizione a Bergamo presso la galleria Ceribelli, la mostra a Ragusa dedicata a Gesualdo Bufalino, Vincenzo Consolo e Leonardo Sciascia nel periodo 1978-2011.

Annuncia Prestifilippo nuovi fotolibri in uscita. Cito dal suo interessantissimo scritto: «Leone è un bracconiere di epifanie. Nel corso di quasi settanta anni di attività ha percorso in lunga e largo la Sicilia. Non c’è villaggio dell’entroterra o paesino della costa che non abbia fotografato, prima che uno dei due sparisse, definitivamente, per dirla con le parole del suo grande amico, lo scrittore Vincenzo Consolo. Scattando, senza sosta, ha messo in salvo, condotto a riva i relitti di un naufragio culturale».

In conclusione, pare di poter dire che non solamente egli padroneggia con perizia l’obiettivo per cogliere mimiche e significati, ma. entrando in contatto con i maggiori scrittori, lo sentiamo come il depositario della memoria letteraria: «conosce segreti e aneddoti e porta con sé la voglia di comunicare l’amore visivo, quanto mai suggestivo, per la sua terra d’Isola, rivelando alla letteratura – ha scritto Salvatore Nigro – la Sicilia più vera, quella degli uomini come quella della pietra vissuta e del paesaggio».

C’è sempre una tenace volontà documentaria e c’è lo sguardo di incanto che, senza far scadere l’immagine nella retorica del sentimento, coglie singolari aspetti estetici. Del resto, è conoscenza la fotografia che nasce da un’empatia tra soggetto ed oggetto, incontro tra percezione e racconto, compenetrazione della propria e altrui identità, dando luogo ad un resoconto di viaggio che diventa patrimonio culturale collettivo. 

Federico Guastella

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[1]    Il 18.9.2021 ha ricevuto a Catania il “Premio Sikelos”, attribuito note personalità siciliane del mondo della cultura.

[2]    P. Balsamo, Il Giornale del viaggio fatto in Sicilia, e particolarmente nella contea di Modica del 1809 dell’abate Paolo Balsamo, ripubblicato nel 1969 dal Rotary club di Ragusa.

[3] Gesualdo Bufalino: “Non si cerchi in queste foto la collera civile o la pietà di chi s’impegna a ritrarre la Sicilia più funebre e amara. In Leone risuona una musica diversa. Una musica che somiglia al particolare triangolo ionico che l’ha generato, là dove il retaggio mafioso pesa meno che altrove e la stessa barocche ria delle pietre ( a Noto, a Modica, a Ibla…) si stempera nella mestizia e nell’oro morbido dei tramonti. Piace dunque a Leone cogliere le mimiche significanti del grande teatro umano, tanto negli individui quanto nelle folle, durante le cerimonie e le liturgie delle feste: piace altresì indulgere alle forme, ai comportamenti, alla pelle del cielo, della terra e del mare. Ne risulta una Sicilia Malnota o ignota a noi stessi che l’abitiamo. Dove si esibiscono altipiani di amplissimo giro che un albero solitario soggioga, dove ondulate colline si spartiscono toppe di campi, cinti di muri a secco e guardati da case simili a sentinelle; dove le bestie più antiche, più elementari (vacche, pecore, buoi) ripetono antiche movenze, ignare di vivere sulle soglie del terzo millennio…”

[4] Salvatore Silvano Nigro: “La trama fibrillante del racconto fotografico di Leone è declinata dalla memoria profonda degli incartamenti e delle stupefazioni di un'età acerba surriscaldata dalla fermentazione dei primi desideri attorno agli oggetti talismanici di un'amabile impudicizia. Bambino, portato per mano dal padre, organista della cattedrale, Leone ha cominciato subito a spogliare l'idillio liturgico del matrimonio: frequentatore clandestino di cerimonie nuziali, ora nel brusio dello spazio sacro, ora nei momenti di festa grossa; dai coretti avvampati di bianco, al tuffo nel banchetto.”

[5] Salvatore Silvano Nigro: “Leone si è nutrito di barocco siciliano... La sua macchina fotografica entra nelle residenze signorili, nei salotti borghesi, nei circoli di conversazione, nelle chiese. Aggrava le ombre, esplora i silenzi come da sepolcro, registra lo strepito a vuoto delle conversazioni, sigilla i silenzi che scivolano da bocche annose, spia gesti e pettegolezzi, orgogli e vanità. Divaga tra ripide scalinate. Consacra e dissacra”.

[6] Antonino Buttitta: “Le fotografie di Giuseppe Leone ci riportano al vissuto di un uomo coniugatosi nel tempo con gli ambienti e le persone di una Sicilia fatta di lontananze dai confini ulteriori, di uomini dai lunghi silenzi parlati, di lavori e fatiche senza misura: una realtà espressa, come scrisse il Principe, in un paesaggio irredimibile. Quanto si nasconde in questa realtà si indovina negli scatti di Leone, soprattutto quando esitano in immagini che tracimano il tempo e convertono luoghi e persone in parvenze mitiche. È per questa via che residuano nella memoria come memoria esse stesse di un mondo ipotetico del quale Leone è emotivamente partecipe e al quale miracolosamente ci fa partecipare.
La realtà da lui colta e reinventata, la sua Sicilia, diventa così la Sicilia di ognuno di noi.”

[7] Giuseppe Leone: "Nell'autunno del 1984, alla galleria La Tavolozza di Viale Libertà di Palermo, Leonardo Sciascia organizzò una mostra sui 'Paesaggi Iblei' visti interpretati da Piero Guccione tramite la sua pittura e da me attraverso la fotografia. Il catalogo era accompagnato da una breve ma vibrante nota dello stesso Leonardo Sciascia (grande appassionato di entrambe le arti); in tale nota mise a confronto con citazioni ed esempi le differenti peculiarità e modi espressivi sia della pittura sia della fotografia. Da quel lontano 1984 la mostra non si è più ripetuta; delle opere di allora, disperse in diverse collezioni, è rimasto solo un piacevole ricordo. Nel 1989 Sciascia muore. Da allora sono trascorsi vent'anni; e quest'anno appunto si commemora il ventesimo anniversario della sua scomparsa. Per tale evento, a venticinque anni dall'inaugurazione di quella mostra, simbolo di una grande amicizia, noi amici di Sciascia in questo lembo di terra iblea abbiamo deciso di ricordarlo pubblicando questo volume."

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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