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La convivialità eucaristica nel pane e nel vino della tavola. Recensione di Giovanni Occhipinti

 

La lettura del nuovo libro di Enzo Bianchi, Spezzare il pane (Einaudi, 2015), mi ha richiamato alla mente Il pane di ieri (ivi, 2008) e ciò che avevo scritto sulla rivista ″Feeria″ del 2009. In quell'occasione sottolineavo l'importanza della civiltà agricolo-contadina e pastorale e delle culture nomadiche, che per tutti gli Anni Cinquanta/Sessanta furono alla base di un genere letterario a contenuto religioso e morale, e notavo che il fondatore e priore della Comunità di Bose era riuscito a dare una risposta alla domanda che si era già posta nel libro del 2008: ″[...] seguirò il sentiero che ho imparato da giovane alla scuola dei vecchi della mia terra?″. Un sentiero, si capisce, legato alla liturgia della terra. Ebbene, questo sentiero ritorna ora nella sua recente opera Spezzare il pane. Non a caso l'autore mette in esergo al libro le parole del Pasolini ″corsaro″ (cfr. Scritti corsari): ″Gli uomini del mondo contadino non vivevano un'età dell'oro [...]. Vivevano [...] l'età del pane. Erano cioè consumatori di beni estremamente necessari [...]″. Ciò per sottolineare che oggi viviamo il tempo del consumismo, anche se ben consci che non tutti i beni sono necessarî o estremamente necessari. 

La tavola, come il desinare e la figura del Maestro, il Rabbi Gesù, sono sempre al centro delle riflessioni di Enzo Bianchi, il quale considera il cibo come nutrimento e dono della terra per tutti e come cultura e sapienza del vivere. Lungo il prosieguo del discorso, l'argomento, secondo le finalità che si propone l'autore, diventa pretesto per rivisitare la figura di Cristo attraverso i Vangeli sinottici, con qualche sguardo alle pagine veterotestamentarie. 

 

Si accennava prima alla terra, ebbene l'ecologia evangelica di Enzo Bianchi la eleva ad altare, su cui l'uomo celebra la liturgia della propria esistenza. Come non ricordare la definizione francescana di terra? ″Sora terra″; ma anche quell'altra definizione data da Victor Hugo: ″altare″. Ecco, l' ″altare della terra″. Vale la pena sottolineare un breve passaggio nel discorso del priore della Comunità di Bose: ″[...] considerarla un organismo di cocreature che ha il suo riferimento primario negli esseri umani quali soggetti di responsabilità etica″. 

Un eccesso di irresponsabilità dell'uomo nei confronti della terra potrebbe infatti provocare una realtà estrema, da sopravvissuti, come, poniamo, nel romanzo di Mauro Corona: La fine del mondo storto (Mondadori, 2010). E' dunque fuorviante -come osserva Bianchi- la ″interpretazione del mandato di Dio agli umani presenti nel libro della Genesi″: 'Riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo (Gen. I, 28)'. L'ambiente va rispettato o si rivolterà all'uomo, colpevole di averlo contaminato, ignorando per ingordigia le leggi sull'equilibrio della natura e la funzione umana, sociale, sacrale del cibo, che contempla la prossimità ovvero la società come prossimo, l'altro-da-noi, che però è in noi in quanto nostro simile.

L'autore auspica una metánoia in favore di una nuova condizione di vita da cui si generi l'ethos della terra, grazie al quale l'uomo può trovare salvezza. Un'analisi attenta questa del priore della Comunità di Bose, il quale celebra la liturgia dei frutti della terra e del cibo per l'uomo, anche se non sempre, purtroppo, è per tutti gli uomini. 

La descrizione che ne fa Enzo Bianchi nel suo crescendo sinfonico è, qui, l'altra faccia del Cantico delle Creature, è lauda francescana. Il banchetto è celebrato come luogo di convivio, nel quale appunto si condivide l'umanità dell' ″altro″ che ci sta accanto.

Bianchi esemplifica il concetto, tra Bibbia e Concilio Vaticano II, con riferimenti e citazioni dalla Gaudium et Spes (penso ai disperati della notte che frugano freneticamente nei cassonetti zeppi di rifiuti, alla ricerca di cibo prima di lasciarsi giacere, all'addiaccio, su improvvisati giacigli di cartone, a Roma come a Parigi, a Londra come a New York).

E' certamente qua l'alto significato morale e religioso, oltre che socio-antropologico, di questo libro, nel quale la figura del ricco Epulone, vestito di ″porpora e di bisso″, giganteggia sinistramente sull'umanità afflitta e affannata, divenendo metafora di ingiustizia e diseguaglianza tra gli uomini.

La nostra memoria va a J.J. Rousseau, che ne Il contratto sociale, sosteneva la tesi secondo cui le rivalità e le guerre ebbero inizio nel momento in cui l'uomo tracciò il primo confine, configurando il concetto di proprietà privata a dispetto del concetto di Communitas, già espresso da Giovanni Crisostomo e Clemente Alessandrino -come Bianchi ricorda-, i quali sottolinearono l'importanza dei beni comuni, o comunione dei beni, come giustizia ed equità. Già a partire dalla richiesta-invocazione ″[...]. Dacci oggi il nostro pane quotidiano [...]″, la bivalenza semantica del possessivo plurale ″nostro″ vuol significare, appunto, ″di tutti noi″, cioè della Communitas o ″comunismo evangelico″, se vogliamo.

 

A seguire questo scritto, si comprende che l'autore celebra l'esaltazione del cibo, specie là dove ce ne mostra tutta la sacralità, trasformandolo, si potrebbe dire, in un pretesto o occasione didattica per educare l'uomo al rispetto di sé e dei propri simili nel gesto e nella volontà della condivisione e dunque della vicinanza interiore e umana. Una lezione di civiltà, certamente, arricchita e supportata dalla conoscenza della storia della cultura biblica,  nella quale peraltro, insieme al biasimo degli egoismi, colloca il concetto di carità paolina, quella che ″[...] tutto dona, tutto soffre, tutto sopporta″. 

Non è semplice tracciare, come fa Enzo Bianchi, il percorso della storia sulla qualità del mangiare assieme: la bontà del cibo predispone al sorriso che affratella, all'apertura verso l'altro, che si apre a sua volta, manifestandosi al proprio simile nella bontà, nei pregi, nei difetti e comunicando, nel dialogo, i propri sentimenti. 

Ricorda, l'autore, che proprio a tavola Gesù annunziava ai commensali la propria morte e risurrezione, e sottolinea che nel cibo è la metafora della salvezza; che nella riunione attorno alla tavola e nel rito del banchetto è possibile cogliere il significato della tavola eucaristica e della mensa escatologica a cui è chiamato l'uomo della terra; ma anche, come facevamo notare, l'amore per il prossimo. La condivisione del cibo manifesta ed esprime la carità e la testimonianza di fede, così come deve essere nella tavola dei cristiani e attraverso cui si può già contemplare, secondo la promessa dei profeti rinnovata da Gesù, il regno di Dio: ″Il Signore dell'universo imbandirà un banchetto, lo preparerà per tutti i popoli sul monte Sion [...]″ (I 25,6).

Non si può non considerare il fatto che questo libro di Enzo Bianchi è una lunga e bene articolata riflessione teologale strutturata in un ″racconto″ che si snoda soprattutto attraverso i Sinottici e si conclude con l'elogio del pane e del vino, del corpo e del sangue, che furono al centro del sacrificio di Cristo, affinché tutto quanto da Lui raccontato potesse realizzarsi per la salvezza dell'umanità. E' per questo che nel libro rientra a pieno titolo il concetto di misericordia così come concepito dal Concilio Vaticano II e come lo troviamo nella definizione del filosofo americano, l'ebreo Abraham Eschel, ma anche dal filantropo protestante, il dottor Albert Schweitzer, il quale dall'Africa, tra i lebbrosi, da medico senza frontiera ante litteram, ci informava già negli anni Sessanta che ″Dobbiamo giungere a un umanesimo che abbia come base la misericordia″.

Questo concetto, Enzo Bianchi sottolinea sul ″Corriere della Sera″ dell'8 dicembre 2015, a proposito dell'anno giubilare della misericordia aperto da papa Francesco.

 

Spezzare il pane è un libro ricco di motivi e spunti di riflessione su cui è bene che l'uomo si soffermi per rivedere la propria posizione e il proprio programma di vita, se vuole contribuire ad arginare il rischio di una deriva che non da ora minaccia l'umanità.

 

Giovanni Occhipinti

 

***

Enzo Bianchi è nato a Castel Boglione (AT) in Monferrato il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, alla fine del 1965 si è recato a Bose, una frazione abbandonata del Comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, ha scritto la regola della comunità. È a tutt’oggi priore della comunità la quale conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di cinque diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele), Ostuni (BR), Assisi (PG), Cellole-San Gimignano (SI) e Civitella San Paolo (RM).

Nel 1983 ha fondato la casa editrice Edizioni Qiqajon che pubblica testi di spiritualità biblica, patristica, liturgica e monastica. Nel 2000 l’Università degli Studi di Torino gli ha conferito la laurea honoris causa in “Scienze Politiche”. Membro del Consiglio del Comitato cattolico per la collaborazione culturale con le Chiese ortodosse e orientali del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ha fatto parte della delegazione nominata e inviata da papa Giovanni Paolo II a Mosca nell’agosto 2004 per offrire in dono al patriarca Aleksij II l’icona della Madre di Dio di Kazan. Ha partecipato come “esperto” nominato da papa Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla Parola di Dio (ottobre 2008) e sulla Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana (ottobre 2012).

Nel 2014 Papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Nel 2007 ha ricevuto il “Premio Grinzane Terra d’Otranto”, nel 2009 il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro Il pane di ieri, nel 2013 il “Premio internazionale della pace”, nel 2014 il “Premio Artusi”. Dal 2014 è cittadino onorario della Val d’Aosta e di Nizza Monferrato.

 

(fonte: http://www.monasterodibose.it/priore/enzo-bianchi)

 

Nota: Oggi ci si serve del cibo per concludere affari importanti attorno a una tavola riccamente imbandita; ma c'è chi vive in profonda solitudine e chatta alla ricerca di ″amici″ per il pranzo o la cena. Questo accade, per esempio, in Corea; ma comincia a manifestarsi come fenomeno anche in alcune città europee e nelle metropoli degli States.

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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