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  • Rubrica: Incontro con l`Arte (Michele Digrandi)

Veduta (1990) – Acrilico su masonite cm. 68,9x49,7. Michele Digrandi

 

Michele Digrandi, l’oscura bellezza della Sicilia (Seconda parte[1])

 

                                                                                                              “Attraverso l’oscurità

                                                                                il sole del mattino

                                                                                  recò un messaggio:

                                                                                             con un abbraccio luminoso

                                                                                                      risvegliò la bellezza del mondo”.

                                                            Tagore

 

            …Non si tratta, ad ogni modo, di un sentire “regionalistico” che vuole velare più che svelare la verità. Michele Digrandi, infatti, accoglie anche la lezione della grande pittura europea, in primo luogo del surrealismo, complicando la sua “visione” con la messa a fuoco di simboli che la rendono inquietante e quasi ostile: una grande mela, l’uovo primordiale da cui si dischiude l’attesa della vita, pesci e animali che lottano nei gorghi di una tempesta del mare. Solo per fare qualche esempio. Ma la sua forma è sempre bella, curata, quasi calligrafica nel respiro del colore che illumina e protegge il dettaglio come la grande distesa paesaggistica.

Perché questa predilezione di Michele Digrandi per la forma bella?   Perché - penso - ci aiuta ad affrontare la nostra paura peggiore, il timore che la vita non sia che caos e che il nostro dolore non abbia, alla fine, alcun senso. Dipingere, allora, è per Michele Digrandi provare a suggerire un ordine, evocare una perduta armonia, trovare un criterio compositivo nascosto, un equilibrio nel quale, come avviene in natura, tutti gli elementi che formano l’immagine possono combinarsi perfettamente in un tutto, in un nuovo paesaggio. La bellezza dell’arte, si sa, non porta a nessuna dottrina definita. La sua forma non è delineata in modo netto, almeno per quanto possono vedere i nostri occhi, e non porta immediatamente a nessuna teologia estetica o a un sistema etico. La Bellezza è una parola utile, specialmente per l’artista, perché riguarda la luce: una luce di irresistibile intensità. Di fatto, la forma cui l’arte aspira è di una luminosità assoluta, ma è anche così intensa da non poter essere guardata direttamente. Siamo, quindi, costretti a intuirla dal riflesso frammentario che deposita nel paesaggio che guardiamo o nei nostri oggetti quotidiani e perfino nella nostra immaginazione con i suoi incubi o con le sue speranze. La vera arte riscopre per noi la bellezza.

            Ora, ciò che colpisce nei quadri di Michele Digrandi non è soltanto la loro luce di una irresistibile intensità, ma anche la loro immersione in una solitudine carica di oscurità. Si direbbe che l’artista, camminando per le campagne iblee in chiari pomeriggi d’inverno o nella quiete dell’estate, abbia scoperto che quel paesaggio, nella sua spettacolare autonomia dall’uomo e dalla sua storia, sia qualcosa di inquietante. Ma è soltanto un presentimento, una percezione dell’anima che Michele Digrandi adombra nei simboli e soprattutto in quei muri caratteristici della campagna iblea che tagliano lo spazio dei quadri in una prospettiva straniata. E tuttavia, il “paesaggio” di Michele Digrandi, nonostante l’inquietudine sottile che lo pervade, resta indimenticabile proprio per il suo sembrare facile, naturale. Ciò accade perché l’arte, per essere tale, deve in qualche modo ingannare: solo le immagini che sembrano ottenute con facilità riescono a convincerci che la bellezza è un fatto comune, dunque una realtà che nemmeno i nostri peggiori comportamenti e le nostre ansie più corrosive possono intaccare o nascondere. Mario Luzi, al quale in una fortuita occasione avevo mostrato alcuni lavori di Michele Digrandi, mi confermò che la pittura di quest’artista gli sembrava “matura ed equilibrata per la sua capacità di fondere insieme una verve fantastica ad un sottile lavorìo sulla realtà e inoltre riscontrava una rara musicalità del segno e del colore”.

            Se, in definitiva, l’immagine della Sicilia che ci viene raccontata nella letteratura, nella cronaca o nel cinema è un’immagine che, nelle parole o nella fotografia, di fatto ci nasconde la sua vera identità, guardando l’arte che l’isola è ancora in grado di produrre, forse speriamo di poter ritrovare la verità, appunto guardando con più amore e più attenzione.  La pittura di Michele Digrandi, con le sue risorse e le sue possibilità, ci dice che fuori dalla luce il buio è realmente assoluto.

 

Carmelo Mezzasalma, su La provincia di Ragusa - Anno XII n. 3, giugno 1997 (redatto in Firenze, ottobre 1995)

 

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[1] La prima parte dell’articolo si può leggere su Ondaiblea, Rivista del Sudest al seguente link: https://www.ondaiblea.it/index.php/sapere/rubriche/10954-michele-digrandi-carrubo-e-campagna-iblea

 

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