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  • Rubrica: Incontro con l`Arte (Michele Digrandi)

Natura viva, Natura morta (1986), Acrilico su tela cm. 30x20 — Carrubo (1991), Pastello su cartoncino cm. 35,2x50. Opere di Michele Digrandi

 

L’inquinante, l’idillio (Mandarà analizza l’opera di Michele Digrandi)

 

Nei mesi scorsi [1999, ndr] fu organizzata a San Pietro in Vincoli, nella Sala del Consiglio, una personale del pittore siciliano (è di Ragusa esattamente) Michele Digrandi.

Una mostra in cui l’artista ottenne ampi consensi e della quale promettemmo ai lettori di riparlarne, approfondendo, in particolare l’analisi della sua espressione figurativa. Manteniamo oggi quella promessa affidando il compito al critico Emanuele Mandarà, che ha redatto l’articolo che presentiamo di seguito.

Romolo Sardellini, su Risveglio 2000, Sabato 10 luglio 1999, anno XV N. 27 (547 n. s.), p. 17, in Ravenna

 

***

L’inquinante, l’idillio

 

di Emanuele Mandarà (Prima parte)

 

 

          Aveva dapprima deliberato di eludere il figurativo, mosso da scelte ritenute più consone alle urgenze originarie del suo messaggio, e - come avviene a chi si cimenta da iniziato - persuaso che l’adesione a talune tendenze di rottura (espressioniste? di neoavanguardia?) avrebbe potuto renderlo più prossimo alla rappresentazione di certi spaccati del nostro convulso e magmatico quotidiano.

          Sennonché su quelle spinte di esordio doveva presto fare aggio, e largamente, il rinvenimento della formula irrinunciabile della sua vocatio pittorica che, con maggior indugio e respiro rispetto a concomitanti predilezioni musicali, si sarebbe risolta ormai in un’adozione prevalente.

          Intendo l’elezione realista, che a Michele Digrandi (e non tanto, certo, per la sua pratica didattica, quanto per quello che creativamente egli coltiva e persegue) non è ignota nei tanti rivoli in cui quella tumultuosa corrente (del realismo, appunto) si è venuta quasi ininterrottamente diramando a partire dal secondo cinquantennio ottocentesco, da quello magico a quello critico, dagli esiti della Ash Can School alle indicazioni della nuova oggettività. Implicazioni e stampi che nello stesso Digrandi si filtrano in sue cifre variegate, con sottintesi surrealsimbolici.

          È spesso, se non pressoché sempre, tentazione e menda dei commentatori d’arte (e non solo di questi) il richiamo al precedente, il conato del riferimento alla lezione, all’archetipo-modello cui far risalire le ricerche e i prodotti di un autore qual che sia. E l’arbitrio o l’accostamento opinabile non sono inusuali, accadendo non di rado che si stabiliscano poli di contatto tra interlocutori ideali gli uni agli altri sconosciuti. Anche noi, che da tali peccati non siamo stati immuni, continueremo pure stavolta a commetterne riandando mentalmente - ma davvero senza intento di presupporre alcun rapporto mimetico - a un Gustave Courbet o ai “tratti” ondosi di un Gerhard Richter dinanzi a certe marine di Digrandi; o alla carnalità mammaria del “Blow up II” di un Peter Sorge a fronte di quei limoni pregnanti in mezzo alle pieghe di un panno tra protettivo e scoprente; o ai fiori di un Lowel Nestitt per quelle rose miniate; o ai grandi alberi autunnali di un Ken Danby per quei carrubi cavi e che nondimeno inimmaginabilmente rigerminano; o a “Uomo in una cassa” di un Sieafried Neuenhausen (ma lungi dall’alta drammaticità di questo) per il volto celato a metà da quel sudario, indice dell’eterna ambivalenza, della parziale verità ch’è in ognuno.

          Pertanto forse solo nostri azzardi.      

Ragusa 10 Novembre 1990.

La provincia di Ragusa, anno V, n. 6 (6 Dicembre1990) e Risveglio 2000, anno XV, n. 27, 10 luglio 1999.

 

 

Lo scopo di un'opera onesta è semplice e chiaro: far pensare. Far pensare il lettore, lui malgrado

Paul Valéry

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